“Questo luogo è la casa di tutti“, Maria Gaita fa eco alle parole ed al desiderio di Patrizia D’Angelo, responsabile CGIL Pozzuoli. E sembra che non ci sia bisogno di sottolinearlo: alle 17.30 in punto, la saletta della Camera del Lavoro in piazza della Repubblica è già gremita, e persone interessate fanno ancora capolino, in cerca di posto. Si tiene la presentazione di “Insulto dunque sono” (ed. Emi, 2013), l’ultima fatica di Giovanna Buonanno, studiosa, appassionata e curiosa, figlia di Pozzuoli ed insegnante di umanità, oltre che vicepresidente dell’associazione culturale CittàMeridiana, che ha organizzato l’incontro.
“Parlare scorretto non solo è cosa per sé sconveniente, ma fa male anche le anime”: Iaia De Marco, presidente dell’associazione, cita le ultime parole che Socrate rivolge a Critone, per ricordare l’importanza dei termini che l’uomo decide di utilizzare per relazionarsi al prossimo. “Quella di Giovanna è una proposta di manomissione delle parole, oggi scollegate dai concetti e trasformatesi in preconcetti, pregiudizi, che danno forma alla nostra realtà discriminante”.
La lettura che l’attrice Adele Pandolfi fa di alcuni brani del saggio precede la stimolante riflessione proposta da Nicola Magliulo, professore e ricercatore in discipline filosofiche: “Questo libro ci ricorda che in ogni contesto spaziale e temporale è presente l’insulto, come fenomeno trasversale”. Dall’Africa fino all’America e tornando in Italia, l’insulto è caratterizzante del divario che si viene a creare tra il “noi” e “gli altri”, quasi che l’umanità non fosse un tutt’uno, ma una segregazione di razze, generi e religioni. “Perché l’umanità odia altre persone trasformandole in nemiche? Perché proiettiamo sugli altri ciò che di noi stessi non ci piace, demonizzandoli?” Gli interrogativi posti da Magliulo non hanno risposta, non ancora. C’è sicuramente una “coazione a ripetere”, un problema che, irrisolto, rimosso, e non affrontato, si ripropone in ogni era ed in ogni situazione. “E’ un ritorno avvilente”, afferma Magliulo.
Lo studioso, però, non si ferma all’analisi del problema ed alla critica della realtà, propone una strada: smontare il “paradigma immunitario”, per cui “ho paura, quindi mi difendo”. Riconoscere l’altro, soprattutto, è fondamentale, per non perdere il tratto fondamentale dell’uomo: l’umanità. “Il meccanismo di categorizzazione universale ci mostra l’altro per quello che fa, non per quello che è. Dobbiamo imparare a guardare l’altro come individuo, come singolo”, non come il ruolo che interpreta nella società. Il discorso cade inevitabilmente su Lampedusa: “Dobbiamo guardare quelle persone negli occhi e riconoscere loro l’umanità, l’essere individui in fuga da situazioni disastrose”.
L’autrice, Giovanna Buonanno, ricorda che l’insulto razziale è solo una parte del parlarsi, quell’operazione indispensabile per ognuno tesa a creare relazioni: l’insultarsi, appunto, “determina sì relazioni, ma negative, tra i popoli, oltre che tra gli individui”. Rapportarsi alle proprie paure biologiche con un approccio culturale, questa potrebbe essere la strada, ma cosa succede se le paure dell’uomo sono culturalmente costruite? “Quando si dice che i nostri ragazzi in guerra sono coraggiosi, mentre loro, gli avversari, sono orde, si comprende chiaramente cosa significa alzare barriere tra noi e loro”. Attraverso una raccolta di epiteti, offese, insulti, l’autrice ha tracciato storie, incontri e scontri, e ci ricorda che esiste sempre un Nord ed un Sud, cambia solo il modo in cui lo si definisce. D’altra parte, la lingua riflette il pensiero, ed il pensiero della separazione fa paura. “Siamo noi italiani – continua la Buonanno, riprendendo la vicenda di Lampedusa – che abbiamo coniato il termine clandestino, creando l’inesistenza dell’uomo”.
La passione, lo studio, l’amore per le parole ma anche per gli uomini, sono stati ingredienti fondamentali per comporre questa piccola guida all’insulto, attraverso epoche e spazi, a ricordarci che restare umani è fondamentale, e che, per farlo, è sufficiente alzare lo sguardo ed incrociarlo con lui, l’altro, per scoprire che non è la tolleranza, e nemmeno la paura, a legarci, ma l’umanità.