Ambulatori chiusi e pronto soccorsi semi deserti, è una delle foto scattate nei nosocomi italiani durante i due mesi di lockdown. Una foto che, dal 4 maggio ad oggi, si sta sbiadendo sempre di più. La fase 2 riavvia gradualmente le attività di ricovero e ambulatoriali sospese per fronteggiare l’epidemia da Covid19 che ha sottoposto il personale sanitario, già oberato di lavoro, ad un ulteriore e immane sforzo per gestire la pandemia che non è terminata con la fine della fase 1.
I NUMERI – Sono 410 mila i ricoveri per interventi chirurgici da riprogrammare. Nel periodo di sospensione scattato a febbraio per i casi differibili e non urgenti a causa della pandemia, è stato infatti rinviato il 75% degli interventi chirurgici in regime ordinario, senza contare i day hospital, con quote più o meno elevate a seconda delle categorie diagnostiche. Dal conteggio sono esclusi i ricoveri con diagnosi di tipo oncologico. È quanto emerge dalla recente analisi “Riprogrammazione degli interventi chirurgici, liste di attesa e mobilità sanitaria: il Covid spingerà gli italiani a curarsi vicino casa?” elaborata da Nomisma, la società di ricerche di mercato e consulenza. Un terzo degli interventi da riprogrammare riguarda l’area ortopedica che conta oltre 135 mila ricoveri rimandati. Si passa poi ai 54 mila interventi chirurgici legati a malattie e disturbi dell’apparato cardiocircolatorio. E ancora, sono circa 40 mila quelli dell’apparato digerente fino agli oltre 10 mila riguardanti le malattie e disturbi dell’occhio.
LE LISTE DI ATTESA – La ripresa delle attività sanitarie ha un impatto significativo soprattutto sulle già interminabili, in fase pre-covid, liste di attesa, che inevitabilmente raddoppieranno:” per un intervento programmato di bypass coronarico o di angioplastica coronarica, dove l’attesa media nazionale si aggira intorno ai 20/25 giorni, le attese potranno raggiungere i quattro mesi, mentre per un impianto di protesi d’anca i tempi di attesa potranno raddoppiare superando i sei mesi”. A lanciare l’allarme sono le analiste di Nomisma, Maria Cristina Perrelli Branca e Paola Piccioni. Necessaria, quindi, una nuova pianificazione delle agende sanitarie che deve garantire assistenza e sicurezza delle cure non soltanto agli ammalati di coronavirus ma anche ai pazienti affetti da patologie non legate all’epidemia, in “stand by” da oltre due mesi.
LA MOBILITÀ SANITARIA – Sotto la lente d’ingrandimento anche la mobilità sanitaria, ovvero lo spostamento di circa 750 mila cittadini in regioni diverse da quella di residenza per accedere alle cure ospedaliere. Le misure restrittive ed il timore di contagio hanno bloccato questa vera e propria migrazione soprattutto dal sud verso il nord. Per i potenziali “migranti sanitari” si possono ipotizzare due scenari: il primo basato, compatibilmente con l’urgenza e la gravità dei propri bisogni, sulla scelta di rimandare la partenza a quando la fase 2 dell’emergenza avrà fatto il suo corso; il secondo, basato sulla scelta di restare, per una rinnovata fiducia nei sistemi sanitari delle regioni del sud che hanno gestito con maggiore efficienza l’emergenza epidemiologica.
FASE 2, NUOVE OPPORTUNITÀ PER LA CAMPANIA – Sebbene la fase 2 della sanità deve fare i conti con una nuova emergenza da gestire insieme alle criticità di sempre, si presenta anche un’opportunità da non perdere, soprattutto per il Sistema Sanitario della Campania che, può contare su un piano di emergenza da 30 milioni di euro, come già dichiarato dal Presidente Vincenzo De Luca. Assunzioni, aumento di posti letto, lavori edili nelle strutture sanitarie sono alcune delle misure previste per implementare la sanità campana, provando a riparare ai tagli alla spesa sanitaria che hanno portato in nostro SSR (Sistema Sanitario Regionale) sull’orlo del baratro.
A cura di Vania Cuomo