L’anziano Geremia, all’apparenza uno straccione senza tetto, è un perfido usuraio. Arricchitosi grazie ai suoi “prestiti”, vive con la pittoresca madre, che lo tratta quasi fosse un bambino. Spietato nei sui interessi, Geremia nutre nei confronti del sesso femminile un rapporto ai limiti della morbosità. A fargli compagnia – anche se lui reputa di non avere amici – è unicamente Gino, una sorta di cow-boy che abita in un camper alla periferia della città. Conosciuto dai suoi compaesani come “cuoredoro”, un giorno gli si avvicina un uomo chiedendogli un aiuto finanziario per il matrimonio della figlia. L’uomo accetta, anche perché rimane invaghito dalla figlia di quest’ultimo. Dopo inutili avances da parte dell’usuraio, la donna asseconda i suoi corteggiamenti a patto, però, che venga effettuato un drastico “sconto” sul prestito del padre. Nel frattempo a contattare Geremia, che per il fisco è un semplice un sarto, è un manager di una società, che chiede un ingente prestito per salvare la sua azienda. Sebbene siano molti soldi, Geremia, euforico della conquista amorosa, accetta anche in questo caso. In realtà sia la ragazza che il manager dell’azienda, a cui si aggiunge in seguito anche l’amico/cow-boy Gino, stanno traendo in inganno l’anziano usuraio che, ingenuamente, vede svanire sia la sua fortuna, sia la ragazza che aveva amato. Ormai ai limiti della nullatenenza, Geremia non può fare altro che tornare a casa ed iniziare una nuova vita.
Siamo abituati a Paolo Sorrentino e alla sua classica verve. Onirico, surreale, “artistico”, i suoi film, come le sue sceneggiature, sono sempre permeate di emozioni forti, passionali, ai limiti della realtà. Uscito di recente con il pluripremiato “La grande bellezza”, Sorrentino si è imposto in maniera magniloquente nel nostro scenario filmografico.
Chi è l’amico di famiglia?
Geremia è un uomo solo, statico, abitudinario, un uomo che dalla vita sembra aver ricevuto solo la brutalità e la malvagità che si rispecchiano nelle sue azioni. Come ogni personaggio creato da Sorrentino, però, anche i “cattivi” in realtà non sono così cattivi. L’incontro con la futura sposa provocherà in Geremia un sentimento nuovo, forse non proprio amore, ma comunque capace di farlo ricredere delle sue azioni e dei suoi errori.
Sebbene sia classificato come dramma, “L’amico di famiglia” è infuso di quella classica aurea commediale che rende ai limiti del grottesco ogni opera del regista napoletano. Al di là dell’estetica, che diviene in Sorrentino elemento essenziale, anche la potenza narrativa e tematica fa il proprio ruolo. Quella di Sorrentino è una società corrotta, becera, malvagia, dove a popolarla sono corrotti e corruttori. Sebbene, infatti, Geremia de’ Geremei sia l’apice della cattiveria e dell’istinto umano, i suoi “clienti” non sono da meno. Tra chi vuole comprarsi, solo per ripicca, un titolo nobiliare e chi vuole far sposare – anche se nella pacchianeria più assoluta – a tutti i costi sua figlia solo per una questione “d’onore”, il micro-mondo creato dal regista de “Il Divo” è un luogo di perdizione, dove l’apparire è necessariamente più importante dell’essere.
Il cast: perfetta l’interpretazione di Giacomo Rizzo che, dopo questa pellicola. non potremo mai più immaginarlo senza un impacco di patate in testa. Accettabile, ma con riserva, l’interpretazione della Chiatti. Buona anche l’interpretazione di Bentivoglio. Aspetti tecnici ai limiti del virtuosismo artistico. Stupende, da museo, le classiche inquadrature sorrentiniane. Mastodontica la fotografia di Luca Bigazzi.
Presentato in concorso al festival di Cannes del 2006, “L’amico di famiglia” è consigliato a tutti gli amanti del genere.