11 maggio 2014 – L’ingresso dei puteolani al Rione Terra in occasione della celebrazione dei Santi Martiri (Foto di Andrea D’Agostino)
L’11 maggio per tanti puteolani è stato il giorno del ritorno al Rione Terra. In migliaia hanno visitato il Duomo/Tempio di augusto, fino in tarda serata, quando i cancelli sono stati aperti dopo la prima messa celebrata dal Vescovo Pascarella. Se molti “under 45” hanno scoperto per la prima volta una parte di quei vicoli e di quei luoghi, i più anziani hanno potuto rivivere con i ricordi uno stile di vita che seppure appartiene al passato, si conserva nella memoria.
Per raccogliere questa memoria non cerchiamo volti noti, ma comuni. Cerchiamo il loro luogo d’origine, la provenienza. Non cerchiamo intellettuali, non la voce di una precisa “classe sociale”. Cerchiamo solo gente che ci parli dei loro sentimenti, delle emozioni, delle sensazioni che abbiamo anche noi in questo preciso momento, mentre ci muoviamo tra una piazza e l’altra, mente camminiamo tra i vicoli del Rione Terra. Cerchiamo sorrisi, lacrime agli occhi. Cerchiamo nei loro volti, i nostri volti.
La nostra passeggiata parte dalla chiesa di Santa Maria, dove chiacchieriamo del Rione Terra con il signor Luigi: “Ho 78 anni. Ho sempre vissuto a Piazza della Repubblica. Non sono andato via neanche quando le scosse portarono tutti a Monteruscello. Sono nato in Piazza; a Santa Maria mi sono battezzato e sposato. Al Rione mi sono cresimato. Era splendido”.
Lungo la processione è la signora Luisa a raccontarci la sua emozione: “Non vedo l’ora di salirci. Abitavo nel palazzo di fronte al Duomo, al primo piano. Assistevamo a tutte le funzioni liturgiche. Eravamo lì, quando, 50 anni fa, ci fu l’incendio. Era la notte di San Pasquale, il 17 maggio del ’64, il giorno dopo sarebbe stato l’onomastico di mio padre. Eravamo a letto. Ricordo che il calore era talmente tanto per le fiamme, che i vetri delle finestre si ruppero. Nonostante questo, mio padre non voleva andare via. Ci hanno tolto tutto. Era una grande famiglia”.
La signora Olga, presa dalla voglia di dire la sua, si avvicina ed inizia: “abitavo a via Luigi De Fraia n°9. Vicino casa mia c’era Pappariello, il fruttivendolo. Era vicino alla chiesa di San Gelso casa mia. C’era una fontana. Darei tutto per tornarci”.
All’ingresso del duomo è Michele a raccontarci: “Mia mamma abitava a via De Fraia n°4, al primo piano. Quando mi raccontava i luoghi della sua infanzia, dai suoi occhi veniva fuori l’allegria della vita nei vicoli, la solidarietà. C’era tanta povertà, ma anche tanta genuinità”.
Con la signora Gilda di 73 anni, ci addentriamo nei vicoli: “Ero qui, a via Crocivia n° 25. Mi affacciavo da questa terrazza sul mare e si apriva il cuore. Qui sotto oggi ci sono resti romani, ma prima non era così. C’erano gli orti, coltivavano la terra fino al mare. Proprio qui, abitava una signora con 15 figli. Li, invece, al primo piano, c’era il maggiore con tutta la sua famiglia. Erano ricchi. Al piano della strada avevano le cucine, con la servitù. Noi, da bambini, ci affacciavamo in quelle cancellate e ci deliziavamo per gli odori. Mangiavano! Noi eravamo tutti poveretti!”.
Carmine, 64 anni, abitava a via Portanova n° 3: “Nei vicoli del Rione ho vissuto infanzia ed adolescenza. Ricordo una signora che abitava nel vicolo in cui c’era la Madonna delle Pezzeche. Se chiamava Picchirella. Vendeva sigarette di contrabbando. Quando compravi una sigaretta, ti chiadeva: la vuoi cu’sfizio? Ed allora vedevi questa bella donna corpulenta sfilare la sigaretta dal suo scollo prosperoso. Nei vicoli anche in inverno, le porte erano aperte. La notte in cui il Duomo si incendiò, fu tremenda. Ricordo ancora le lacrime di mia mamma. Non capivo. Ora io avverto le stesse emozioni”.
Giovanna ci dice che “a via Pesterola ci andavo a lavare i panni. Non c’era l’acqua nelle abitazioni. Utilizzavamo quella pubblica”. Partorina, invece, abitava a via Gelso n°19 e del Duomo ricorda “la paura che provavo nel vedere i seminaristi. Al Rione era forte il senso di fratellanza. Si condivideva tutto. La famiglie ricche davano sostegno e lavoro alle povere”.
Ѐ il Maestro Antonio Isabettini a raccontarci di “un mercoledì, in cui al Rione arrivò la polizia, perché una famiglia cucinava coniglio. Ma come, coniglio? In questo posto dovevi vedere se una volta la settimana potevi mangiare carne, addirittura farla di mercoledì…era sospetta la cosa. C’era gente che metteva l’aglio a friggere nell’acqua e poi apriva le finestre. Era un modo per dire: Sto cucinando, ho qualche cosa da mangiare. Meravigliosa poi è la storia della Madonna delle Pezzeche. Durante il periodo della Pentecoste, gli uomini in cerca di una sposa si mettevano all’altarino, aspettando colei che piaceva. Quando la fanciulla scendeva, la si avvicinava e le si dava na’ pezzeca in un posto particolare. Era una dichiarazione d’amore, che finiva con il matrimonio”.
Storie, volti, emozioni di puteolani che l’11 maggio hanno fatto un piccolo passo verso la loro “Terra Madre”!