Tempi duri per la ricerca in Italia. La situazione delineata dalla IV Indagine Annuale Dottorato e Post Doc promossa e presentata dall’ADI, Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani, fotografa una realtà a tinte scure e che necessita una svolta.
NUMERI IMPRESSIONANTI – Il periodo di tempo preso in considerazione va dal 2008 al 2014: diminuiti del 19 per cento i posti messi a bando. Il Sud si segnala per il calo più drastico, meno 38 per cento; scese le borse di studio, meno 16 per cento su un guadagno medio di 1.027 euro mensili; in caduta libera anche il numero di dottorandi italiani, con 0,6 ogni 1.000 abitanti su territorio nazionale l’Italia è eguagliata, in peggio, solo da Spagna (0,5) e Malta (0,2). E che dire di chi ha già intrapreso questa strada e vuole fare della ricerca la professione della vita? Altri dati alla mano, il 96,6 per cento degli attuali assegnisti, considerato il trend di reclutamento dei ricercatori e la riforma introdotta dall’ex ministro Gelmini, rischia, negli anni successivi al dottorato, di essere espulso dal sistema università: l’86,4 per cento non continuerà a fare ricerca dopo uno o più anni di assegno, il 10,2 per cento ne uscirà in seguito ad un contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A ed un fortunato 3,4 per cento potrà dirsi integrato nel mondo accademico.
LE REAZIONI – “L’indagine mostra alcuni degli effetti della riforma Gelmini, la legge 240/2010, che già eliminava la figura del ricercatore a tempo indeterminato in Italia – ci racconta Roberta Russo, segretaria dell’ADI Napoli e membro della segreteria nazionale ADI, e prosegue – La riforma Gelmini, introducendo un blocco di rinnovo assegno di ricerca, ha portato all’eliminazione del precario e non del precariato, rendendo stabile il contratto instabile”. Cosa chiede l’ADI? “Più tutele per i dottorandi senza borsa, di fatto equiparati a studenti piuttosto che a lavoratori, per cui chiediamo l’eliminazione dell’obbligo di pagamento delle tasse, anche in considerazione degli sforzi economici sostenuti dal ricercatore, spesso lavoratore, nel conciliare tempi di ricerca e di lavoro che, di fatto, cozzano”. Punto due: “Cambiare radicalmente il piano di reclutamento e raggiungimento di una semplificazione dei contratti di lavoro per le figure preruolo, di fatto destinati ad uscire dal mondo universitario a cui pure continuano a dedicarsi con passione e dedizione”.