Il 2 marzo 1970 fu l’ultimo giorno vissuto dai puteolani nel Rione Terra. Il ministero dell’Interno e la protezione civile nazionale imposero lo sgombero ai circa tremila abitanti dell’area, che nel corso del ‘900 si era sempre più caratterizzata come quartiere densamente abitato e popolare. L’ordine di evacuazione giunse a seguito di ripetuti fenomeni bradisismici, presentati dagli studiosi di allora come possibile avvisaglia di un’imminente eruzione, che tuttavia non produssero particolari danni e furono di intensità inferiore a quelli poi registrati nel 1983.
Questa è l’estrema sintesi di quel giorno, ma nessuna ricostruzione storica potrà mai riuscire a trasmettere in modo completo i sentimenti, le emozioni e le paure provate dai puteolani 45 anni fa. Specialmente ai puteolani nati dopo, compreso chi scrive. Ecco allora che l’immagine del Rione Terra, anche per chi non lo ha conosciuto “vivo”, diventa allo stesso tempo simbolo di storia e di prospettiva; di radici e di speranza; di voglia di conoscere e di impegno civico a non lasciare che le cose restino immobili.
Cosa è successo in questi 45 anni? Apparentemente poco, perchè quel pezzo di Pozzuoli è ancora lì, in gran parte vuoto e negato all’accesso quotidiano dei cittadini. Ma da un punto di vista amministrativo il percorso di recupero, seppure a fatica e continuamente rallentato da veti incrociati, ostruzionismi interessati e giochi di potere, è andato avanti. Circa cento milioni di euro e oltre 20 anni di cantiere aperto hanno prodotto contemporaneamente ritardi ma anche aspettative.
E’ il momento di dire basta. La “vacca da mungere” non può produrre latte per sempre. Il Rione Terra deve diventare fruibile e messo a reddito. Senza esitazioni. Il riappropriarsi di un luogo di identità collettiva può e deve andare di pari passo con una riconversione finalizzata a creare economia e occupazione.
Affinchè la comunità possa pretendere una svolta, la condizione essenziale è acquisire consapevolmente alcune informazioni. Il Rione Terra è nella gran parte dei suoi immobili pubblico (se si escludono il Duomo e le pertinenze vescovili), di proprietà del Comune di Pozzuoli. Tuttavia l’Istituizione cittadina deve fare ancora i conti con la compresenza di altri “poteri”, di fatto o di diritto: quelli del Consorzio di ditte che hanno vinto l’appalto pubblico dei lavori di restauro; quelli del Presidente della Regione Campania in qualità di commissario; quelli del Ministero dei Beni culturali (e quindi della Soprintendenza ai beni archeologici) in considerazione del rilevante patrimonio archeologico presente nei sotterranei. Chi ha favorito l’azione intrapresa dall’amministrazione comunale di accelerare i tempi di recupero per chiudere una pagina che dura da decenni è stato il Vescovo, che con l’apertura al pubblico del Duomo – che poggia su un Tempio romano – nel 2014 ha di fatto consentito a migliaia di puteolani e di visitatori di rimettere piede sul Rione, per ragioni di culto o di interesse storico archeologico. Il prossimo traguardo dovrebbe essere la riapertura del percorso archeologico, almeno nei fine settimana, magari con l’utilizzo di personale pubblico del Comune secondo il modello dell’anfiteatro Flavio. Un obiettivo che sembra a portata di mano, ma che passa inevitabilmente per un accordo complessivo tra Ministero ed Ente locale.
Il biennio 2015/16 può essere decisivo. La volontà del Comune è mettere a bando per l’assegnazione la parte ormai conclusa del Rione (si stima il 60%) per vederne l’apertura entro questa consiliatura. La destinazione d’uso è indicata in una delibera consiliare del 2003: strutture ricettive, ma anche botteghe artigiane, un museo civico e alcuni edifici pubblici. Su queste basi va verificata la fattibilità strutturale ed economica, nell’ambito di un “concorso di idee” al qual possano partecipare cittadinanza e operatori del settore, in modo che i propositi non restino illusioni su carta e il risultato finale, deciso dal Consiglio comunale anche sotto il profilo della gestione, sia coerente con la visione di una città dell’accoglienza basata sulla cultura, che non dimentica le sue origini.
Dovremo dimostrarci tutti all’altezza: istituzioni e cittadini. Questa volta è vietato fare da spettatori.