Negli ultimi due giorni, quarantasei persone sono state sottoposte ad arresti ed ordinanze di custodia cautelare, a Pozzuoli come nella vicina città di Quarto e nel giuglianese. Il plauso non può che andare, anzitutto, alle forze dell’ordine ed alla magistratura, che con continuità, ed incessantemente, svolgono il loro quotidiano contrasto giudiziario alla criminalità organizzata. Le operazioni, che hanno assestato un colpo decisivo all’organizzazione camorristica nella provincia di Napoli, tuttavia, come appare evidente, non basta. Volendo rifarsi ad una classica dicotomia, possiamo affermare, con una certa tranquillità, che lo “Stato – apparato” ha riportato un successo evidente nei suoi effetti immediati e simbolici.
La camorra a Monterusciello, Toiano, Licola ha perso, almeno questa battaglia, ed è chiaro a tutti. Meno chiaro, ed è forse questo il problema di fondo – per cui continuiamo a parlare del potere delle mafie da circa duecento anni – è ciò che succede immediatamente dopo la liberazione di un determinato territorio dal giogo camorristico. Lungi, ovviamente, dal negare circa un ventennio di impegno civile contro le mafie (ma la sua storia è certamente più antica), si tratta di evidenziare la necessità di uno sforzo ulteriore che sia in grado di far seguire, ai successi conseguiti dallo “Stato – apparato”, l’euforia dello “Stato – comunità”. La società civile deve ribellarsi. O meglio, deve riconoscere la necessità storica di ribellarsi. È un concetto semplice, ed allo stesso tempo complesso nell’attuazione. Molti fattori, culturali, emotivi, economici, sociali, ne impediscono la realizzazione. Ma se in vent’anni quell’antimafia sociale – oggi sotto accusa, a volte in modo assai strumentale e deleterio – ha prodotto qualcosa, ciò è certamente identificabile in quella rete solidale, operativa a diversi livelli, che assiste le vittime, dirette ed indirette, delle mafie. Oltre i protagonismi, i narcisismi e le facili carriere, che però devono essere contestualizzati nell’ambito di evidenti anomalie da arginare ed isolare, perché negano e non rappresentano l’essenza del movimento antimafia, quest’ultimo è espressione di una presenza territoriale evidente e necessaria. In che modo? Tornando agli arresti che di recente hanno impedito il tentativo di ricostruzione dell’organizzazione camorristica a Pozzuoli – manovra che intendeva fondarsi sulla sistematicità dell’attività estorsiva – c’è oggi lo spazio di allargare la falla creata dall’intervento dello Stato, attraverso le denunce, specialmente dei tentativi di estorsione ad opera di taglieggiatori, oggi assicurati alla giustizia.
È ora il momento di dare il colpo di grazia all’agonizzante corpo camorristico, e di ciò che è rimasto a seguito delle inchieste condotte dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli. Ed è proprio questo il momento, per la società civile, e cioè per i cittadini tutti, di fare la propria parte, denunciando esponenti di un’organizzazione che va indebolendosi giorno dopo giorno. Non si tratta di mera illusione, i dati riportati dalle relazioni annuali della Direzione Nazionale Antimafia, negli ultimi quattro anni, segnalano un affievolimento di quella camorra imprenditrice che negli anni precedenti appariva certamente più solida. E se quella struttura sta cedendo, è perché si è avviato un circolo virtuoso tra cittadini, forze dell’ordine e Magistratura, per cui chi denuncia rafforza l’azione dello Stato che, intervenendo, è in grado di liberare e proteggere i cittadini. Siamo, dunque, chiamati a svolgere tutti un ruolo unico e fondamentale, quali anelli diuna catena antimafia che non può e non deve essere spezzata.