Erano in migliaia a Roma per difendere la Costituzione. Nel pomeriggio di sabato 12 ottobre la manifestazione ha riempito Piazza del Popolo, ed è arrivata la risposta della gente dopo l’appello lanciato dai costituzionalisti Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky e Lorenza Carlassarre, assieme a don Luigi Ciotti e al segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini.
Nel suo discorso finale Stefano Rodotà ha ribadito che il carattere non minoritario o di semplice protesta della manifestazione: “siamo una coalizione di vincenti, di chi assume come base il testo costituzionale per allargare diritti e libertà sociali in questo Paese”. Maurizio Landini, durante il corteo ha aggiunto che “se in Italia ci sono più ingiustizie è perché molte delle leggi negli ultimi anni sono state fatte con uno spirito contrario a quello contenuto negli articoli della Costituzione”. Articoli trascritti su cartelli e striscioni da tanti manifestanti e comuni cittadini.
Il motivo per il quale oltre duecento associazioni italiane hanno aderito all’appello non è, come qualcuno vuole far credere, la volontà di rendere immodificabile la Costituzione scritta nel 1948 e di non adattare ai tempi che corrono i principi Costituzionali. La modifica che in queste settimane sta interessando il Parlamento italiano e che è già passata al vaglio del Senato, è – ricordiamolo – la riforma dell’art. 138, cioè la riforma di come la Costituzione andrebbe cambiata. Secondo l’art.138 la Costituzione si può modificare seguendo un procedimento che viene definito “aggravato”, proprio per la natura rigida della nostra carta. Questo procedimento prevede che una legge di riforma costituzionale possa essere approvata con la maggioranza semplice dei parlamentari (50% +1); che ci sia un referendum nel caso la legge di riforma dovesse passare con una maggioranza inferiore ai 2/3 e che la legge di riforma costituzionale passi per ben due volte ad entrambe le Camere, con un intervallo di circa tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione. Su questo punto, infatti, si gioca tutto il senso che i padri costituenti hanno voluto dare all’art. 138. È proprio l’articolo 4 del testo di riforma costituzionale (che dovrà essere approvato solo in seconda deliberazione, quando nulla può essere emendato) che verte tutta la battaglia a difesa della Costituzione. Con questo tentativo si comprimono i tempi, snaturando il senso che il costituente ha dato al procedimento di riforma, ossia la volontà di imporre un periodo di tempo più lungo rispetto all’approvazione di altre leggi, per una riflessione approfondita.
Questo Governo ritiene necessario riformare questo punto proprio per i suoi tempi contingenti e per fare in modo che revisioni costituzionali possano avvenire nel giro di qualche giorno, come la nostra storia parlamentare insegna. Ad onor del vero, e smentendo chi dice che l’art. 138 impedisce la revisione costituzionale, vanno ricordati alcuni momenti storici che hanno visto una profonda revisione della carta costituente: nel 1989 viene approvata una legge Costituzionale per introdurre il referendum di indirizzo, non previsto dalla nostra Costituzione; nel 1993 si approva la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali e si designava un processo di revisione diverso dal 139, perché venivano unificate le commissioni di Camera e Senato; nel 2001 una delle più grandi stravolgimenti: la riforma del titolo V della Costituzione, approvata con la sola maggioranza di Governo e confermata dal referendum popolare; ancora nel 2005 la riforma di 56 articoli della Costituzione, approvata con la sola maggioranza di Governo ma bocciata nel successivo referendum popolare. Uno dei connotati fondamentali dell’articolo 138 è proprio il tempo, e la riforma portata in Parlamento li comprime estremamente.
La riforma della Costituzione non deve essere vista come un mero atto “tecnico” ma va indicata come una questione puramente politica. La questione politica, come già espresso in uno dei nostri articoli sul tema, non può prescindere inoltre dalla scarsa legittimazione che ha questo Parlamento, eletto con una legge elettorale che potrebbe addirittura essere considerata incostituzionale.