Il dibattito sul livello di pericolosità dei nostri Campi Ardenti ha ultimamente conosciuto grande attenzione da parte dei mass media. Molto spesso, però, i canali di informazione sono i primi nemici non solo della sicurezza, ma anche dell’informazione stessa. Per questo, abbiamo deciso di formulare specifiche e mirate domande a Giuseppe De Natale, Dirigente di Ricerca all’Osservatorio Vesuviano – Ingv di Napoli e autore, assieme ad altri, della pubblicazione scientifica recentemente pubblicata su Geochemistry, Geophysics, Geosystems, che riporta nuove scoperte dell’origine del fenomeno bradisismico flegreo.
D – É corretto parlare di previsione dei disastri naturali come terremoti ed eruzioni?
R – I terremoti non possono essere previsti, le eruzioni sì. Bisogna però comprendere che la previsione delle eruzioni è per ora soltanto di tipo ‘empirico’, ossia si osserva la comparsa di fenomeni che possono ritenersi ‘precursori’ di un’eruzione e, quando siano presenti in maniera evidente, si dà l’allarme. La previsione intesa in questo modo, però, non può definire con certezza che l’eruzione ci sarà, nè esattamente dopo quanto tempo, nè può determinarne la ‘esplosività’ (esiste una quantificazione internazionale di un’eruzione nota con la sigla VEI: Volcanic Explosivity Index’).
D – Qual è l’attuale livello di attenzione a cui sono sottoposti i Campi Flegrei?
R – I Campi Flegrei sono attualmente l’unica area vulcanica napoletana alla quale è stato assegnato, dal Dicembre 2012, un livello di allerta ‘Giallo’ o di ‘Attenzione’ (Vesuvio ed Ischia sono entrambi al livello più basso: ‘Verde’ o ‘Quiescenza’). Il Livello Giallo implica un incremento delle attività di Monitoraggio da parte dell’INGV ed una più frequente comunicazione tra INGV e DPC (Dipartimento Protezione Civile), in modo che si possano cogliere per tempo tutti i segnali di eventuale incremento di attività (che porterebbe il livello di allerta a ‘Arancione’) oppure il ritorno ad uno stato ‘Quiescente’ (Livello ‘Verde’).
D – In che modo, se la previsione non è possibile, si può operare nel campo della prevenzione, in un’ottica del contenimento dei danni?
R – Per i terremoti, specie se come in Italia essi sono di magnitudo tutto sommato medio-bassa, la prevenzione, ossia la costruzione con criteri antisismici, è certamente l’unica opzione sebbene in linea teorica risolutiva. Per quanto riguarda le eruzioni, purtroppo, il concetto di prevenzione deve essere generalizzato alla corretta pianificazione residenziale, tale da impedire forti concentrazioni urbane (specialmente se di tipo residenziale) nelle aree di alta pericolosità vulcanica. Infatti, non è possibile difendersi dai prodotti più pericolosi di un’eruzione, ossia i flussi piroclastici (‘nubi ardenti’) se non evacuando preventivamente l’area che ne sarà invasa. La prevenzione per il rischio vulcanico deve quindi intendersi come razionale pianificazione del territorio, resistenza ottimale degli edifici (perchè le eruzioni vulcaniche sono generalmente precedute ed accompagnate da sismicità anche intensa) e, soprattutto, educazione ottimale della popolazione al rischio ed alle procedure di emergenza fino all’evacuazione.
D – La scienza si è interrogata/si interroga sulle modalità di comunicazione del pericolo alla popolazione? Se sì, lo fa di concerto con le amministrazioni?
R – Certamente, anzi a molti scienziati (a me certamente) è chiaro come la mitigazione del rischio vulcanico passi necessariamente attraverso una diffusione capillare di informazioni esaurienti e corrette alla popolazione. Il vero problema è che l’informazione capillare oggi passa necessariamente attraverso i grandi canali mediatici, che in genere si interessano ai vulcani più per il contenuto spettacolare (e spesso allarmistico) piuttosto che per finalità educative, formative ed informative. Quindi, malgrado l’impegno di molte Istituzioni a livello nazionale ed anche, spesso, locale, una vera ‘Cultura’ del rischio vulcanico nei nostri territori, i più a rischio nel Mondo, è ancora lontana.