Tra tutte le norme del “decreto sicurezza” del Ministro degli Interni Salvini – che ha ben poco di sicurezza, nulla di lotta alla criminalità organizzata e tanto di ingiustificata restrizione di diritti umani e civili verso richiedenti asilo o cittadinanza – si nasconde, tra gli interventi meno propagandati dalla grande informazione e dal moderno sistema algoritmico che regola i social network, una profonda revisione del codice antimafia, in particolare per quanto riguarda la gestione e la possibile vendita dei beni confiscati.
Come è noto, la confisca di beni materiali è uno degli strumenti più incisivi di contrasto ad esponenti malavitosi. Non solo per gli effetti economici, ma anche e soprattutto per ciò che tale misura rappresenta. Sottrarre ville, aziende, barche e terreni a mafiosi e camorristi è uno smacco per chi agisce con prepotenza al di fuori delle leggi, ed è una soddisfazione per i cittadini onesti. “Non siete nessuno”, è questo il messaggio racchiuso nel sequestro dei beni verso gli ex proprietari. “Qui la mafia ha perso”, è la frase di vittoria che può essere sventolata ogni volta che uno di quei beni viene trasformato in un luogo dello Stato, o assegnato a soggetti che operano con obiettivi sociali o produttivi. Spesso, purtroppo, tale riconversione non si concretizza, per lungaggini burocratiche o per mancanza di progettualità degli Enti locali al cui patrimonio viene trasferito il bene. Inserendosi in queste difficoltà, si è fatta strada l’ipotesi di vendere i beni inutilizzati, considerando che forse è preferibile monetizzare il valore di un bene appartenuto a un boss, anziché lasciarlo abbandonato. Il decreto Salvini allarga a dismisura tale possibilità, già prevista nel codice antimafia.
LA MODIFICA – Finora i beni inutilizzati potevano essere venduti con un provvedimento dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati limitatamente a Enti pubblici, associazioni di categoria e fondazioni bancarie, tutti soggetti in qualche modo sotto controllo. La “piccola – grande” novità del decreto Salvini è che oggi tali beni possono essere venduti a soggetti privati. Anzi, per utilizzare l’espressione usata nella nuova normativa, al “migliore offerente”. Si, proprio così, a chi ha più soldi, qualunque sia la finalità o ragione sociale dell’acquirente. Certo, è prevista l’esclusione del proprietario precedente, di familiari o parenti entro il terzo grado, di soggetti condannati anche in primo grado per associazione mafiosa. Ma in un Paese come l’Italia, patria dei prestanome e delle teste di legno, è davvero troppo poco. E in un contesto come quello meridionale, dove l’accumulo di ricchezza e la disponibilità monetaria è spesso inversamente proporzionale al rispetto della legalità, il rischio di vedere ambienti malavitosi riappropriarsi dei beni confiscati è troppo alto. Un rischio evidenziato anche da don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione Libera secondo cui su questo tema “ci vuole tanto rigore e attenzione, perché i boss provano sempre a riprendersi le proprie ricchezze”.
APPELLO PER VILLA FERRETTI – Con riferimento alla realtà locale dei Campi Flegrei, rivolgiamo subito un appello su un bene divenuto suo malgrado simbolo del territorio, emblematico di quanto un bene confiscato possa alimentare speranze e al tempo stesso delusioni: il complesso di Villa Ferretti. Un immobile sul mare e un grande parco verde con accesso a una spiaggetta pubblica. Tutto sequestrato nel ’95, confiscato nel ’97, passato al patrimonio del Comune di Bacoli fin dal 2003, per il quale si sono spesi progetti, finanziamenti, sopralluoghi, chiacchiere, ma che è ancora lì, consegnato alla pubblica fruizione solo in parte. Ogni estate la spiaggetta, per fortuna, è libera e accessibile, l’area verde è curata da un paio di anni ed è stata anche teatro per iniziative culturali, in base a un pubblico regolamento comunale, ma per l’immobile persistono intoppi e ostacoli affinché possa avere una destinazione certa, di carattere sociale, culturale o, perché no, anche produttivo con una gestione privata basata su procedure a evidenza pubblica.
Ve la immaginate Villa Ferretti, praticamente sul mare, ai piedi del Castello di Baia e con i resti archeologici marini a fare da contorno, di nuovo nelle mani di un privato? Purtroppo, alla luce della nuova norma, non è un’ipotesi da scartare. Chi ringrazieranno i cittadini, se dovessero ritrovarsi nuovi (o vecchi) ricchi a farla da padroni sull’area verde o lungo l’accesso al mare? Il ministro Salvini? Il governo Conte a maggioranza 5 Stelle? O tutte le amministrazioni comunali di Bacoli, di ogni parte politica, che si sono alternate negli ultimi 10 anni e che non hanno completato (perché non ci sono riuscite o non hanno voluto) il processo di riutilizzo dell’intero bene? Per evitare questa triste gara a chi ha più colpe, suggeriamo alla cittadinanza attiva, ma soprattutto alla politica bacolese, di battere un colpo, avanzare proposte e confrontarsi, subito, per realizzare un progetto credibile che superi anche le eventuali criticità strutturali. E di respingere in modo unitario l’ipotesi che l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la gestione dei beni confiscati possa inserire in futuro tale bene in quelli da vendere. Tutto questo in un Comune già commissariato e in dissesto, a causa di anni di malagestione finanziaria e di sistemica evasione fiscale, dove potrebbero essere già molti gli avvoltoi interessati alla vendita di molti altri beni comunali.