Una Carta rivoluzionaria, perchè rivoluzionario è diventato appellarsi alla pura e semplice umanità.
Dal 31 gennaio al 2 febbraio, l’isola di Lampedusa, terra di confine e di diritti negati, è stata fucina di idee, teatro di incontri, laboratorio politico e sociale: il prodotto di questo dialogo continuo e continuato tra attivisti, cittadini, studenti e migranti, è la Carta di Lampedusa, un documento che vuole farsi testimonianza di un modo diverso di declinare l’accoglienza e le politiche migratorie in Italia.
La Carta non si propone come legge ma come patto ed impegno in grado di unire tutti coloro che credono in alcune libertà fondamentali degli esseri umani: quella di movimento, di scelta, di restare, di costruzione e realizzazione del proprio progetto di vita. E, ancora, libertà personale, libertà di resistenza. Il fondamento della Carta è molto semplice, eppure così lontano dai discorsi che dominano il mainstream mediatico in tema di migrazioni: si tratta del “riconoscimento che tutte e tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune debba essere rispettata”. Questo si traduce nella volontà di smilitarizzazione dei confini – abolizione di Frontex e del sistema Eurosur – e nel rispetto delle libertà, individuali e collettive, che garantiscono la possibilità di autodeterminare il proprio destino.
La Carta nasce dal basso, da conferenze web, scambi di email e di idee, che portano ai tre giorni appena trascorsi, in cui cittadinanza ed attivisti provenienti da Africa, Italia, Europa, si sono confrontati, a partire dai tragici fatti del 3 ed 11 ottobre, morti annegate tra le valanghe di informazioni e disinformazioni quotidiane. La Carta non tralascia nemmeno la questione Cie e detenzione, affermando “la necessità di mettere fine al sistema di accoglienza basato su campi e centri per costruire invece un sistema condiviso nei diversi territori coinvolti, del Mediterraneo e oltre, basato sulla predisposizione, in ogni luogo, di attività di accoglienza diffusa, decentrata e fondata sulla valorizzazione dei percorsi personali, promuovendo esperienze di accoglienza auto-gestionaria e auto-organizzata, anche al fine di evitare il formarsi di monopoli speculativi sull’accoglienza e la separazione dell’accoglienza dalla sua dimensione sociale”.
La Carta (qui il testo integrale) si sta rapidamente diffondendo tra gli attivisti italiani e non, con un tam tam che, partito da Lampedusa, dalle dichiarazioni della sindaca Giusi Nicolini, delle associazioni locali, dei commercianti e dei cittadini ascoltati ed intervenuti nel dibattito, sta attraversando i confini italiani, tramite social network (qui la pagina facebook): l’intento è raccogliere adesioni e sottoscrizioni (qui il modulo), segno tangibile di un impegno che si fa concreto nel vivere ogni giorno le migrazioni – che si tratti di partire, tornare, restare, accogliere- in maniera diversa, più umana.