L’associazione En Art ha proposto la settimana scorsa il suo ultimo prodotto culturale: “Ore3zero5”. Lo spettacolo, che ha debuttato al Nuovo Teatro Sanità di Napoli, ha suscitato emozioni nel pubblico presente e sta alimentando riflessioni non banali, non solo negli ambienti della critica. Oltre alla bravura degli attori e dei professionisti coinvolti (Mauro Di Rosa, autore e attore; Mario Cangiano e Fabio Rossi, sul palco; Pako Ioffredo alla regia; Federico Paparone alle scene e Alessandro Messina alle luci), ha colpito l’originalità del testo, riadattato rispetto al cortometraggio del 2012 “Turno di Notte”, e il suo contenuto, attuale e visionario allo stesso tempo. Abbiamo voluto approfondire alcuni di questi temi con Mauro Di Rosa e Pako Ioffredo, professionisti dell’arte dei Campi Flegrei, incontrati presso la nostra redazione a Pozzuoli per una conversazione, più che un’intervista.
RED – Partiamo dallo spettacolo. Chi ha visto il cortometraggio Turno di Notte e la rappresentazione teatrale Ore3zero5 non ha potuto fare a meno di cogliere differenze, non solo stilistiche.
PAKO IOFFREDO – Fin dal primo ingresso in sala lo spettatore ha fatto i conti con la nostra concezione di teatro, inteso come momento di condivisione con il pubblico, che è parte egli stesso, con le sue reazioni ed emozioni, di ciò che accade durante lo spettacolo. Abbiamo conservato il plot di Turno di Notte, che tra l’altro nasce inizialmente proprio come testo teatrale e poi ha dato la luce al cortometraggio girato e prodotto nel 2012, ma lo abbiamo arricchito nella sua componente esistenziale già esistente.
MAURO DI ROSA – C’è una differenza precisa, tra le tante, ed appare fin dal titolo: “l’ora x” in “Ore3zero5” ha un momento ben definito, in cui il tempo si ferma e la storia va ben oltre il semplice racconto e abbraccia altre dimensioni, come quella introspettiva. Del resto “Turno di notte” era un lavoro figlio di una crisi economica all’apice dei suoi effetti materiali, ed era importante raccontare una difficile condizione del lavoro; oggi il lavoro, anche se c’è, è diverso, ha perso valore e significato ed assume caratteristiche “liquide” e sfumate. In questo momento abbiamo voluto concentrarci sulla sfera personale dell’individuo, in una società dove, almeno nella percezione delle persone, non c’è appartenenza di classe o categoria, ma solo il singolo costretto ad affrontare il resto del Mondo. E in questa riflessione tempo e lavoro sono due entità collegate, perchè non esistono nemmeno più i confini ben precisi tra tempo libero e tempo del lavoro.
RED – La principale ambientazione della storia resta quella legata al mondo operaio con i due personaggi Michele e Salvatore, dipendenti della fabbrica Met.Cup, con riferimenti concreti alle criticità quotidiane esistenti sui luoghi di lavoro. Ma nel corso dello spettacolo appaiono diversi livelli narrativi, grazie al terzo personaggio, che è una sorta di narratore che si muove in più tempi e luoghi.
PAKO IOFFEDO – Non solo ci sono diversi livelli narrativi, ma anche i due operai della Met.Cup rappresentano due storie completamente diverse. Due archetipi di lavoratori: il primo, studente di filosofia, entra in fabbrica prendendo il testimone “ideale” del padre; il secondo, giovane e sposato con figli, vive il lavoro come strumento per vivere e sostenere la sua famiglia. Entrambi soffrono una condizione di alienazione, ma sono due forme uniche e specifiche di come prende corpo la solitudine dell’uomo moderno. Il rimando e le citazioni ad altri testi, come nel caso de “Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino, sono emblematici per comprendere un lavoro a cui una determinata dimensione spazio-temporale, esclusivamente fisica, andrebbe troppo stretta. Agilulfo, non a caso, è un cavaliere che “non esiste”, ma va avanti.
RED – C’è comunque in quest’opera un riferimento a un processo di liberazione? Rappresentato in qualche modo, secondo lo schema narrativo, dalla scelta dei due operai di “dedicare un’ora del loro tempo” al compagno di lavoro e ai suoi problemi?
MAURO DI ROSA – Più che atto di liberazione direi che c’è un momento di “rottura”. La via d’uscita è data forse dalla conoscenza, che vuol dire non solo sapere cose, ma soprattutto condividerle e prendere coscienza del proprio vivere. La storia diventa un pretesto per raccontare in modo simbolico e surreale la condizione del tempo e del lavoro, ma soprattutto per interrogarsi su “chi è l’Uomo oggi?”. C’è qualcosa di umano e di istintivo che spinge i singoli individui nelle loro scelte. E questo è un elemento che è alla base di qualsiasi tipo di organizzazione della società.
(FOTO di scena di PAOLO VISONE)