L’Italia si dirige verso l’abolizione dell’odiosa pratica delle dimissioni in bianco: se così fosse, il lavoratore, più spesso la lavoratrice, non si troverà più nella paradossale situazione di dover firmare, al momento dell’assunzione, un modulo in bianco, senza data, che ne sancisce le dimissioni e che il datore di lavoro utilizzerà poi a proprio piacimento.
Un ricatto, una forzatura, che la votazione del 25 marzo alla Camera sembra scongiurare per il futuro. La proposta, passata con 300 sì (Pd, FI, Sel), 101 no (Ncd, Scelta Civica e M5S) e 21 astenuti (Lega), passa ora al Senato. Il testo di legge elimina l’arbitrarietà del licenziamento “volontario” e reintroduce l’obbligo di presentare le dimissioni su moduli identificati da codici numerici progressivi e validi non oltre 15 giorni da quello dell’emissione, come già aveva previsto la legge 188 del 2007, approvata dal governo Prodi e poi abrogata l’anno successivo, dal governo Berlusconi. I moduli, secondo il nuovo testo di legge, saranno “resi disponibili gratuitamente (…) dalle direzioni provinciali del lavoro e dagli uffici comunali, nonché dai centri per l’impiego”, oltre che “attraverso il sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali” di modo da garantire “al contempo la certezza dell’identità del richiedente, la riservatezza dei dati personali nonché l’individuazione della data di rilascio”. La nuova normativa, inoltre, si riferisce a qualsiasi contratto: rapporti di lavoro subordinato, di collaborazione coordinata e continuativa, a progetto; contratti di collaborazione di natura occasionale, associazioni in partecipazione, contratto di lavoro instaurato dalle cooperative con i propri soci.
Una tutela necessaria per i tanti lavoratori che, in questi anni, si sono visti licenziati “volontariamente” in seguito ad un infortunio, malattia prolungata o, nel caso specifico delle lavoratrici, della maternità: secondo i dati Istat, infatti, tra il 2009 e il 2010 37 mila donne sono state costrette a lasciare il loro posto di lavoro perché neomamme. E’ sempre l’Istat a portare alla luce il dato, valido per il 2008-2009, per cui circa 800mila – l’8,7 per cento delle madri che lavorano o hanno lavorato – lavoratrici dichiarano di esser state licenziate o messe in condizioni di doversi dimettere in seguito alla gravidanza. Non è solo una questione di genere, un problema tutto femminile: le dimissioni in bianco sono utilizzate anche per quei lavoratori che in seguito a malattie, infortuni o attività sindacali non sono più ritenuti idonei o efficienti dal datore di lavoro.
Dignità per i lavoratori, i precari, le donne, i giovani, i migranti: l’abolizione delle dimissioni in bianco non sarebbe solo un passo in avanti per il settore del lavoro, ma per l’Italia tutta.