Si chiama “lockdown generation” la generazione che sta pagando il prezzo più alto dell’impatto “devastante e sproporzionato” della pandemia da Covid-19 sul lavoro. Un giovane, under 29, su 6 ha perso il lavoro e quelli ancora occupati hanno visto ridursi del 23% l’orario di lavoro. A lanciare l’allarme è il rapporto “World of Work and Covid-19” dell’ILO (International Labour Organization) secondo cui la pandemia sta causando ai giovani un “triplo shock”: “non solo sta distruggendo loro il lavoro, ma sta anche interrompendo l’istruzione e la formazione e ponendo importanti ostacoli alla strada di coloro che cercano di entrare nel mercato del lavoro o di spostarsi tra un lavoro e l’altro”. Già nel 2019 il tasso di disoccupazione giovanile era al 13,6%, il più elevato rispetto a qualsiasi altra fascia di età. Ad essere maggiormente colpite dalla crisi lavorativa sono le donne: “il rapido aumento della disoccupazione giovanile visto a febbraio colpisce le giovani donne più che i giovani” perché “impiegate in modo sproporzionato nei settori più colpiti, comprese le professioni di cura, dove rappresentano tra il 60 e 70 per cento”, si legge nel rapporto. Enormi difficoltà anche per le persone con disabilità, rifugiati e migranti. Ad alto rischio le piccole e medie imprese dei settori quali “ristorazione e alloggi, vendita al dettaglio e all’ingrosso, servizi alle imprese e amministrazione e produzione” che impiega circa 1,25 miliardi di lavoratori. E la conferma di questa drammatica crisi economico-lavorativa, effetto del coronavirus, viene anche da Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite):”la pandemia di Covid-19 ha stravolto il mondo del lavoro. Ogni lavoratore, ogni azienda e ogni angolo del globo sono stati colpiti. Centinaia di milioni di posti di lavoro sono andati persi”. Di qui,l’invito del capo dell’ONU a superare insieme questa crisi mondiale anche con una svolta “green”: “è giunto il momento di uno sforzo coordinato globale, regionale e nazionale per creare un lavoro dignitoso per tutti come fondamento di una ripresa verde, inclusiva e resiliente”.
PROPOSTE DELL’ ILO – 4 i pilastri, secondo l’ILO, su cui fondare misure immediate per uscire dalla crisi del mercato del lavoro: stimolare economia ed occupazione; sostenere le imprese; proteggere i posti di lavoro; dialogo sociale, al fine di cercare soluzioni più adeguate.
LA SITUAZIONE IN ITALIA – Una “marcata diminuzione dell’occupazione” in Italia, a seguito dell’emergenza coronavirus, è registrata dall’ISTAT nel periodo del lockdown, in particolare tra marzo e aprile. È di circa 400 mila unità il calo dell’occupazione. Sebbene il governo abbia imposto il divieto di licenziare per ragioni economiche, in vigore fino al 17 agosto e di cui non si esclude un ulteriore proroga, sono molti i casi di mancato rinnovo di contratti a termine giunti alla loro naturale scadenza, di “dimissioni forzate” o di licenziamenti disciplinari di dubbia legittimità. A salire, invece, di 746 mila unità, è il numero degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno o non cercano un lavoro. Non confortano neanche i numeri dell’INPS: 144.203 le domande di disoccupazione, soltanto nel mese di marzo. Crollano i precari, i più colpiti dalla drammatica crisi lavorativa. Sono in meno 200 mila i dipendenti con contratto a tempo determinato, secondo le stime dell’ANPAL (agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro) pubblicate nel rapporto “Prime evidenze degli effetti della crisi sanitaria sulla dinamica dei rapporti di lavoro”, secondo cui:” le conseguenze determinate dalla diffusione del virus COVID-19 si sono abbattute sul sistema economico mondiale e nazionale come una vera tempesta, determinando un shock economico senza precedenti e con effetti destinati a protrarsi nel tempo”.
Nonostante le misure previste dal decreto “Cura Italia” (ampliato col decreto “Aprile”) che ha stanziato 25 miliardi di euro a sostegno delle famiglie e delle imprese, la crisi lavorativa, come il virus, si è rapidamente diffusa e miete vittime soprattutto tra le fasce di lavoratori meno tutelati: i precari, i giovani e, ancora incomprensibilmente (soprattutto nel terzo millennio) le donne. Come a dire che anche la crisi economica colpisce coloro che soffrono di una patologia “lavorativa” pregressa: l’invisibilità, che in questo caso non è un superpotere. Oppure, la patologia da curare è la “miopia” di coloro che non vogliono vedere questa preziosa, indispensabile forza-lavoro senza cui non sarà possibile alcuna crescita lavorativa, sociale e culturale.
A cura di Vania Cuomo