FOTO DI GENNARO CIMMINO
Dopo mesi di “astinenza” teatrale, dovuti a una convalescenza post operatoria, venerdì 4 Aprile, si è svolta presso la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, in via dei Tribunali, la performance teatrale dell’attore, autore e peta Mimmo Borrelli, dal titolo “Chiante e schiante”.
Pluripremiato e definito dai critici ed esperti di teatro come uno dei più grandi drammaturghi contemporanei italiani, Mimmo ha fatto della sua terra d’origine, Bacoli e i Campi Flegrei, la linfa vitale da cui trarre la sua ispirazione artistica. Cuma, Baia, Torregaveta, Cappella, sono questi i luoghi delle sue storie, e i loro cittadini, i suoi personaggi, alcuni dei quali, realmente esistenti (!). Ed è così che tra storia, miti, leggende, fantasie e realtà, l’autore si fa Cicerone, accompagnando lo spettatore in un viaggio poetico all’interno della complessa e affascinante tradizione flegrea.
LO SPETTACOLO – Tra luci, ombre, rumori del sottosuolo e umidità, lo spettacolo si è presto trasformato in un’entusiasmante esperienza, coinvolgente emotivamente e fisicamente, complice la suggestiva location. La rappresentazione di è svolta infatti nell’ipogeo della chiesa, famosa per essere una dei luoghi simbolo del culto delle così dette “ anime pezzentelle”: resti umani di ignoti, che in passato venivano adottati dai fedeli napoletani, i quali attraverso la loro cura, la preghiera e l’offerta, speravano di ottenere grazie e protezione.
In sostanza la performance è consistita in un alternanza di letture tratte dalla sua ultima opera, dal titolo “a’ Sciaveca”, intervallate da preziose spiegazioni della trama e i suoi protagonisti, e interessanti digressioni sulla sua storia personale, le sue radici, e tutto ciò che lo ha condotto a realizzarla. “A’ Sciaveca” è la triste storia di tre fratelli: il primogenito, Tonino o’ Barbone, uomo semplice e onesto, viene raggirato dall’ultimo dei tre, e condotto alla morte per naufragio. Poi c’è Angela, altra vittima di questa intricata tragedia umana, la quale, innamorata di Tonino, é anch’essa tratta in inganno e brutalmente stuprata dallo stesso carnefice del fidanzato e, colpo di scena, dal secondo dei fratelli, Peppe Scummtiell’, prete di professione ma sporco peccatore di fatto. Ma a un anno di distanza dai tragici eventi, un fatto sorprendente stravolge la storia: un mostro marino, metà uomo e metà pesce, emerge dal mare. È Tonino, che tornato a rivivere, porta in grembo la collera, che userà per vendicarsi dei torti subiti, contraendo il colera a tutti i personaggi. Una storia intricata, in cui l’amore è ostacolato e sopraffatto dallo squallore e dalla meschinità di cui è capace la natura umana, quando rabbia repressa e frustrazione incombono.
L’INTERVISTA – A qualche giorno di distanza dallo spettacolo, abbiamo incontrato Mimmo, per fargli qualche domanda sul suo lavoro.
Come è nata l’idea di questa performance così particolare, arricchita da spiegazioni, racconti e divagazioni varie?
La storia è questa: da circa due anni, mi è stato chiesto in vari convegni di drammaturgia e nelle università, di tenere delle performance, e dal mio punto di vista, ho pensato che una cosa interessante per capire anche il modo di scrivere dell’autore, sarebbe potuto essere questo di arricchire le performance di spiegazioni, soffermandomi, in questi casi più sugli aspetti tecnici e su determinate questioni che possono interessare principalmente chi studia teatro e aspira al mestiere dell’attore. Nel caso della performance dell’altra sera ho invece dato maggior spazio al racconto di aneddoti, storielle, ammiccando anche un po’ al pubblico, in modo da renderlo più “popolare”. In particolare, della “Sciaveca” avevo già realizzato in passato un primo studio teatrale, che presentammo al Festival di Benevento e che piacque moltissimo: un monologo, molto simile a quello che ho portato in scena al Purgatorio ad Arco, di circa 35 minuti, dove accompagnato da un musicista dal vivo, fornivo spiegazioni e discorrevo del testo per poi fare una full immersion nell’opera.
Il tuo spettacolo ha fatto il giro dei maggiori teatri d’Italia, riscuotendo ovunque un grande successo. Quali sono state le reazioni del pubblico non napoletano alla tua opera, data la complessità dei dialoghi, quasi tutti interamente in dialetto stretto??
In questi casi il lavoro è anche e soprattutto della regia. Il linguaggio è quello, ma io pongo sempre all’interno del testo delle “isole di comprensione”, come ad esempio, nel caso della “Sciaveca” c’è il personaggio del prete, che parla in italiano. Il punto è questo: bisogna fare un passo in più verso un maggiore sacrificio nei confronti del pubblico. Come dico sempre ai miei allievi, recitare è semplice, vivere nella recitazione è molto, ma molto più complesso. È un duro lavoro, che deve necessariamente comprendere tutti i livelli di comunicazione, quali la musica, la scenografia, i costumi, ma anche il ritmo, la parola, il verso.
La parola, come dice il grande Enzo Moscato, è corpo. Dunque anche se io non capisco niente, posso capire tutto. Nei miei spettacoli, quindi, pur non riuscendo a cogliere il senso dei discorsi, pronunciati quasi sempre in un dialetto strettissimo, tuttavia cerco sempre di riuscire a trasmettere attraverso la fisicità, i sentimenti, gli stati d’animo, le emozioni. Solo attraverso tutto ciò si rende possibile la comprensione del testo al pubblico.
Con la “Sciaveca” ti sei confrontato anche con le telecamere , realizzando un documentario, presentato proprio la settimana scorsa al “Bari International Film Festival”, parlaci di questo progetto.
Da diversi anni si parlava, tra amici, di realizzare un documentario sul mio lavoro. Idea è stata poi concretizzata a tutti gli effetti da Paolo Boriani, documentarista e regista di video art milanese, che dopo aver assistito a un mio spettacolo, ha insistito affinché realizzassimo un documentario insieme. E tra i vari testi, la scelta è ricaduta su quello della “Sciaveca” poiché, è tra i tanti, quello in assoluto più radicato in questi luoghi. E così, nel maggio dell’anno scorso, Paolo mi ha raggiunto qui a Bacoli e abbiamo cominciato le riprese, che abbiamo girato in gran parte sulla spiaggia romana, al lido del Fusaro, un luogo al quale io sono particolarmente legato, poiché ci trascorrevo le vacanze quando ero bambino. Così facendo abbiamo dunque creato un documentario che di configura come una sorta di viaggio attraverso il testo della “Sciaveca”, che costituisce il contenitore, e il mio lavoro, fatto di incontri con i personaggi del posto, interviste e registrazioni, che poi vado a trasporre nel testo teatrale, documentando in che modo riesco a trasformare la realtà in teatro.
Vorrei chiudere l’intervista con una domanda di attualità locale: qualche mese fa è stata avanzata al comune di Pozzuoli, da parte dell’associazione culturale EnArt, la proposta di realizzare un teatro stabile in territorio flegreo. Cosa ne pensi??
Ma ben venga!!! Foss’ na benedizion’!!Ne parlavo proprio poco fa con un amico: in tutta la zona dei campi flegrei, tra Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, e volendo andare anche oltre arrivando da un lato a Bagnoli e dall’altro a Giugliano, non si trova un teatro! È una situazione molto triste, che andrebbe assolutamente risolta. Il problema però è capire bene a chi affidarne la gestione. Purtroppo, in questi casi, la cultura finisce quasi sempre per diventare un mero strumento nelle mani della politica. Se la politica continua a mettere la cultura nelle mani di persone che con essa non hanno nulla a che vedere, trasformandola in una merce di scambio di favori e voti, allora non si va da nessuna parte. Se la si affida invece a persone competenti, allora può diventare un mezzo straordinario per il paese. Una buona idea potrebbe essere, ad esempio, quella di affidarla ad artisti. Chi meglio di un artista saprebbe come far vivere un posto del genere!
Il consiglio da dare ai giovani che vogliono intraprendere questo tipo di carriera?
Sarò onesto. L’avvertimento che faccio sempre ai mei allievi, sin dal primo momento in cui decidono di intraprendere questa strada, è che in questo mestiere si ha tutto da perdere. La base di partenza dev’essere indubbiamente una forte passione, che sia capace di andare anche oltre le mille amarezze. Mi spiego: un attore, durante la sua carriera, difficilmente riuscirà ad interpretare il ruolo che desidera. Il 90% delle volte farà tutt’altro. Dev’essere una sorta di prostituta che sappia vendersi per campare. E quindi è veramente difficile e bisogna prepararsi alla battaglia. Con questo non intendo scoraggiare. Il teatro, diversamente dallo spettacolo, è un gioco ben più serio. Come dico sempre, chi inizia a fare teatro lo fa perché ha dei problemi seri con il proprio ego. Abbiamo questa costante esigenza di comunicare al mondo che esistiamo, e di esprimerci. Questa espressione però, comporta delle difficoltà, dei rischi. Il più frequente è, ad esempio, quello di scadere nel narcisismo, che è tutt’altra cosa. Narciso si guardava allo specchio da solo, escludendo qualsiasi tipo di comunicazione con l’esterno. Il teatro invece si fa in uno a mille, cercando di entrare in sintonia con ogn’uno degli spettatori. Dunque bisogna essere consapevoli che non è un lavoro comodo.
Il prossimo appuntamento con Mimmo, per chi fosse interessato al suo lavoro, sarà il prossimo 16 giugno, ancora una volta alla Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, dove metterà in scena un nuovo testo, intitolato “Opera pezzentella”, nato dalla collaborazione con l’associazione Opera Pia Purgatorio ad Arco, al quale prenderanno parte anche i suoi allievi.
ARTICOLO DI LAURA CESARINI