Imbavagliati. Sono i giornalisti che non hanno voce, che rischiano la vita, subiscono torture, vivono il carcere in condizioni deprecabili. Sono personaggi scomodi, eroi del quotidiano, che mostrano una parte di realtà che non va cercata né immaginata. Sono i protagonisti del Festival internazionale del giornalismo civile, “Imbavagliati”, tuttora in corso al Pan, Palazzo delle Arti di Napoli, in via dei Mille, dal 18 al 24 settembre. Nello slogan, la denuncia: “Chi dimentica diventa colpevole”.
Il luogo prescelto non è casuale: negli spazi del Pan, infatti, è custodito il simbolo attorno a cui ruotano gli incontri di questa seconda edizione, la Mehari di Giancarlo Siani, a cui vengono dedicati una mostra fotografica ed un murales, e con cui il Festival è gemellato nell’evento del conferimento del Premio Siani, il 23 settembre. La sette giorni nasce da un’idea della cronista Desiree Klain, anzi, più che da un’idea, da una scena straziante a cui la giornalista si trova ad assistere: “Sembrava dormissero, stesi uno accanto all’altro. Eccoli con i loro pigiamini colorati, di quelli che hanno indossato anche i nostri figli, colori allegri, visini dolci e buoni, ma non si sarebbero svegliati! Nel sonno eterno migliaia di bambini. Era il 2013, davanti all’immagine della strage degli innocenti uccisi in Siria con le armi chimiche durante la guerra civile, non ebbi la scorza dura della cronista, abituata a tutto”, scrive la Klain sul Mattino, e prosegue: “… dopo pochi giorni l’annuncio di un simile, abominevole sterminio, un vero e proprio genocidio, arriva per ultima. Così come vengono trattate le notizie di centinaia di essere umani, che trovano la morte, proprio per fuggire a quella stessa fine, nelle stive dei barconi, al largo di Lampedusa, a pochi passi dalle nostre comode vite. La mia idea di Imbavagliati, Festival Internazionale di Giornalismo Civile, nasce da questo: la volontà di rompere la banalità del male, quella Globalizzazione dell’indifferenza che ha drogato le coscienze”.
“Imbavagliati” si snoda tra scenari di guerra, profonda dittatura e silenziosa presenza delle mafie: dall’Ucraina fino alla Siria, passando per la Turchia e per l’Italia, gli ospiti di questa kermesse sono persone che danno la propria vita per gridare i diritti di territori oppressi. Lo fanno con il giornalismo, come testimonia la storia di impegno di Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra nel 1985, ma anche con la ricerca – è il caso di Giulio Regeni, 28enne italiano torturato ed ammazzato in Egitto per cause ancora poco chiare. Lo fanno con le immagini, con la fotografia: ne è esempio straordinario la bellissima, quanto cruda e diretta, mostra in bianco e nero della siciliana Letizia Battaglia, fotoreporter di una Italia che gronda sangue di mafia e corruzione. La minaccia per la libertà di stampa ed informazione è concreta e reale più che mai – d’altronde, quello in corso è “un anno eccezionale per la censura”, come titola la campagna di Reporters sans frontières (Rsf), lanciata in occasione del 3 maggio scorso, Giornata mondiale per la libertà di stampa. E sempre di Rsf è il Rapporto annuale che tiene la temperatura della censura nel mondo, con sconfortanti notizie per tutti noi.
“Imbavagliati”, prodotto dall’associazione “Periferie del Mondo-Periferia Immaginaria”, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e la Fondazione Polis della Regione Campania, con il patrocinio di Amnesty International Italia, presenta un programma, dedicato al tema “Fuga per la vita, fuga per la libertà”, fitto di ospiti internazionali, che urla verità per tante stragi che non possono essere dimenticate, per un passato vicino, ancora tremendamente caldo, così tanto che pare di sentirne il fiato sul collo, a minacciare la tenuta delle democrazie non solo europee, ma mondiali.