L’attualità fa sempre da cornice e non può che influenzare il mondo accademico e diventare essa stessa materia di approfondimento trasversale. È sotto l’occhio di tutti la crisi del settore artistico legata alla pandemia, con lo stop prolungato alle aperture di cinema, teatri, ma anche alla produzione di lungometraggi a causa delle restrizioni anti- covid. Eppure l’arte resiste e prova a reinventarsi, ma le difficoltà degli esercenti di riaprire le sale in questo momento storico sono evidenti. Se già le sale ante covid attraversavano una crisi dovuta allo spostarsi degli interessi e dei numeri sulle piattaforme streaming, ora le difficoltà sono aumentate, ma la certezza è che alla sala e alla sua magia non è possibile, né auspicabile rinunciare e di certo si dovrà tutelare l’esperienza del cinema in sala dalla crescita esponenziale del web, con cui è tenuto a confrontarsi nella consapevolezza di essere pur sempre altro. Se n’è discusso, insieme a tanto altro, all’interno dell’incontro- lezione a distanza del docente e filmaker Francesco Giordano.
Nel momento in cui la storia del cinema viene mortificata da una classe politica insensibile al grido di dolore degli operatori del settore, il docente ha deciso di enucleare uno spazio di riflessione critica e storica all’interno del proprio Laboratorio di Produzioni audiovisive, teatrali e cinematografiche, attivato in modalità e-learning presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, invitando, nell’ambito del ciclo di incontri con i protagonisti del comparto dell’audiovisivo, Giuseppe Borrone, critico e storico cinematografico, direttore artistico di cineforum e soprattutto autore del “Dizionario del Nuovo Cinema Napoletano“, un corposo catalogo critico di ben 500 film recensiti di 200 autori tra cui i fratelli Francesco e Maurizio Giordano, presenti con il premiato “Le Stanze aperte”. L’incipit di Giuseppe Borrone è stato così folgorante da aver immediatamente rapito l’attenzione degli studenti, particolarmente allettati dalla prospettiva di una carriera da critici cinematografici che sentono nelle loro corde in quanto coerente con il loro percorso di studi universitari. Certamente l’abilità nello scrivere e la conoscenza dei media attraverso cui veicolare Il messaggio, che si sono ampliati e diversificati nel tempo attraverso i blog e i siti, oltre che le riviste di settore, è essenziale per mettere a fuoco differenze e vari target di riferimento.
Bisogna fare attenzione non a ciò che si dice nel film ma a ciò che dice il film”, cioè, il messaggio che si prefigge di veicolare e il cui corollario è ciò che sosteneva il poeta Ugo Foscolo: “L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove bensì rappresentare con novità”.
E, infatti, anche nel cinema il “come” è la cifra artistica di un film, ciò che lo eleva da prodotto d’intrattenimento e di evasione a opera d’arte. Eppure, come sottolineato dal Prof. Giordano, non esiste un indirizzo di studi specifico per gli aspiranti critici cinematografici, ragion per cui, come consigliato da Giuseppe Borrone, la via “maestra” (è proprio il caso di dirlo) è vedere il maggior numero possibile di film in modo da affinare la propria sensibilità estetica e il proprio gusto cinematografico, non dimenticando mai che il cinema è arte ma anche industria, senza la quale non potrebbe esistere.
Ben vengano, dunque, esperienze laboratoriali come quella del Prof. Giordano che garantisce ai propri studenti una full immersion nel mondo della Settima Arte in quanto coniuga l’opportuna formazione teorica con la possibilità di interfacciarsi con chi il cinema lo fa, con eccellenti risultati, o lo “vive” per passione come Giuseppe Borrone che ha regalato un altro illuminante spunto di riflessione: assurge al rango di capolavoro non il film che fa man bassa di “statuette” ma quello che riesce a sprigionare significati diversi in periodi diversi “parlando” a tutti proprio come l’opera omnia del più grande drammaturgo di tutti i tempi, William Shakespeare, da cui il cinema ha attinto a piene mani: in fin dei conti, il principe danese Amleto, ha fatto notare Borrone, altri non è che l’incarnazione delle ansie, delle frustrazioni e dell’inquietudine dei giovani di ogni epoca che faticano a uscire dal cono d’ombra dei loro padri e perciò scivolano dal “parricidio inconscio”, descritto da Freud, a quello reale di cui è sempre più ricca la cronaca nera.
Alla luce di quanto detto finora, non è quindi fuorviante la suggestione, ispirata dalla circostanza che molti influenti cineasti, come i più acclamati esponenti della “nouvelle vague”, da Godard aTruffaut, in origine erano critici cinematografici che declinavano la critica come il migliore apprendistato in vista del loro passaggio dietro la macchina da presa, secondo la quale per esercitare un pensiero critico scevro di condizionamenti ideologici e di pregiudizi. il critico deve avere una conoscenza approfondita di tutti i meccanismi, anche quelli tecnici, della complessa macchina cinematografica esattamente come il regista. Infine, sollecitato dal giornalista Renato Aiello a un confronto tra il cinema italiano, che beneficia di provvedimenti miopi e scriteriati per mitigare le ricadute negative di un’epidemia di Covid che continua a mordere, e quello francese, da sempre patria d’elezione del cinema d’essai, Giuseppe Borrone ha amaramente constatato che la Francia è ormai l’ultimo avamposto dove andare al cinema è un rito sacro come partecipare alla Santa Messa il giorno di Natale.