L’analisi della mappa degli indipendentismi si estende, in via eccezionale per questa nuova puntata, al medio-oriente ed alla “questione curda”, intesa non soltanto come complesso di vicende storiche di una etnia frammentata in diversi Stati ma anche come analisi socio-politica dei più recenti fenomeni relativi alle istanze indipendentiste del Kurdistan iracheno.
IL REFERENDUM – Con una affluenza del 78% degli aventi diritto al voto ed un risultato plebiscitario assestatosi intorno al 92% per il sì, il 25 luglio si è tenuto lo storico referendum curdo per l’indipendenza da Baghdad, capitale dell’Iraq: ben 5,3 milioni di elettori provenienti dalle province di Dohuk, Erbil, Sulaimaniyah e Kirkuk si sono recati alle urne per dare il proprio appoggio al presidente della regione autonoma e leader del Kdp (partito democratico curdo) Mas’ud Barzani. L’entusiasmo della popolazione, i clacson suonati a festa ed i tricolori sventolanti per le strade sono stati tuttavia velocemente rimpiazzati da un clima pesante e da forti tensioni socio-politiche in tutto il medio-oriente, a seguito dell’opposizione del premier iracheno Heidar Al-Abadi e della comunità internazionale esprimeva che il proprio dissenso per bocca dei principali attori regionali (Turchia, Iran) e delle principali potenze portatrici di interessi strategici (USA, Russia).
ETNIA E GEOGRAFIA – È importante, a questo punto, inquadrare in una cornice coerente l’identità del popolo curdo: le persone appartenenti all’etnia curda, di stirpe indo-europea, sono circa 30 milioni divise principalmente tra i cinque Stati di Iraq, Iran, Siria, Turchia e Armenia. In Turchia ne risiede il gruppo più numeroso, mentre oltre un milione e mezzo di curdi vivono divisi in Europa e Nord America.
La regione di circa 550mila chilometri quadrati compresa tra i quattro Stati succitàti è un territorio che, di fatto, non ha legittimità propria in quanto non è riconosciuto da nessun organismo internazionale: solo il Kurdistan iracheno gode oggi di una certa autonomia, a seguito della fine del regime di Saddam Hussein nel 2003. Tuttavia, istanze indipendentiste e la crisi legata allo Stato Islamico hanno rimesso il popolo curdo al centro dell’attenzione geopolitica mondiale.
CENNI STORICI FINO AL TRATTATO DI LOSANNA – La storia antica e moderna dei curdi è un susseguirsi di guerre e di conquiste: assiri, persiani, greci, romani, mongoli, tartari e ottomani sono state le principali potenze che nel corso di duemila anni hanno incrociato le armi contro – e talvolta dominato – i curdi: durante la prima Guerra Mondiale, il popolo curdo era geograficamente e politicamente unito sotto il dominio dell’Impero Ottomano. Difatti, è nel primo dopo-guerra che si determina la situazione curda moderna: il Trattato di Sèvres, città nei pressi di Parigi, siglato nell’agosto 1920 tra le potenze vincitrici del primo conflitto mondiale e l’Impero Ottomano, resta l’unico documento giuridico-politico internazionale che, pur non essendo mai stato ratificato, suggerisce la creazione di uno Stato curdo indipendente. Eccone, qui di seguito, un estratto: “Una commissione di stanza a Costantinopoli dovrà produrre entro sei mesi dalla firma del presente trattato un progetto di autonomia per le regioni a maggioranza curda che si estendono ad Est dell’Eufrate…”.
Tuttavia, il trattato viene ritenuto eccessivamente sconveniente dai turchi che, rifiutandosi di ratificarlo, riaprono i tavoli negoziali: così, pochi anni dopo, a Losanna nel 1923, viene firmato un nuovo accordo che ancora oggi divide geograficamente e politicamente il popolo curdo all’interno di cinque diversi Stati: un unico popolo separato da molteplici confini e che si è sviluppato seguendo identità culturali diverse.
LA STORIA RECENTE – Il sogno di una patria curda non abbandona quest’etnia: la nascita di numerosi movimenti nazionalisti diventa così un problema per tutti i governi che devono amministrare le popolazioni curde, in particolare in Iraq. La numerosità dei curdi spinge i governi alla dura repressione ed alla ricerca della negazione dell’identità curda tramite la proibizione dei rispettivi usi e costumi.
Mustafa Barzani, padre dell’attuale e succitàto presidente della regione autonoma curda, rappresenta senza dubbio il più importante personaggio militare e politico curdo in ragion del fatto che combatté per lungo tempo contro gli eserciti governativi durante le sanguinose guerre civili della metà del secolo scorso. La sua figura è legata alle prime reali rivendicazioni curde nell’ottica di un Iraq confederato nel quale due Stati potessero convivere pacificamente: le sue principali richieste sono, infatti, la creazione di giornali, scuole e università curde nonché il mantenimento di un corpo di armato curdo e soprattutto di una autonomia amministrativa. Le richieste, miopemente respinte dall’allora governo di Qāsim, inaspriscono irrimediabilmente i rapporti tra le due fazioni inaugurando anni di combattimenti e guerra civile. Nel marzo del ’70, Barzani raggiunge un accordo di pace con i leader iracheni che riconoscono ufficiosamente l’etnia e la lingua curda come segno di buona volontà per i negoziati: purtroppo, le trattative falliscono a causa delle divergenze sulla determinante area petrolifera e cosmopolita di Kirkuk, permettendo così all’Iran di Pahlavi di assumere un ruolo di primo piano nella vicenda.
Teheran, infatti, nell’ottica di un ridimensionamento delle pretese dell’Iraq arabo che minaccia i suoi confini lungo il Golfo Persico, riceve l’appoggio degli Stati Uniti (ampiamente documentata è la visita di Nixon e Kissinger nel maggio del ‘72) in cambio della collaborazione con la CIA. L’appoggio consistette nell’aiuto finanziario e logistico-militare ai combattenti curdi, in grado di minare dall’interno la stabilità del regime colpevole di non aver mantenuto la parola in merito agli accordi sull’autonomia curda nella regione.
Tuttavia, il 6 marzo 1975, ad Algeri, in territorio neutrale, lo “Scià di Persia” (Iran) e Saddam Hussein (all’epoca ministro del governo di Baghdad) firmano uno storico accordo sui confini di Iran e Iraq nel Golfo Persico. L’Iran, che sta dunque appoggiando economicamente e logisticamente l’insurrezione curda in Iraq, decide di lasciare i curdi da soli davanti alle rappresaglie del regime: ha inizio la prima diaspora curda.
Pochi anni dopo, però, è l’Iran ad aver bisogno dell’aiuto curdo: con la scalata al potere di Saddam, l’Iraq decide di invadere l’ormai ex-alleato al fine di allargare i propri confini sul golfo persico e confidando in una guerra lampo. È proprio grazie all’aiuto dei Peshmerga (letteralmente, “coloro che si sono votati alla morte”) curdi che la sanguinosa guerra si protrae per l’intero decennio successivo portando, in definitiva, alla sconfitta irachena; la rappresaglia dell’ormai dittatore Saddam Hussein è tuttavia terrificante: interi villaggi curdi vengono rasi al suolo dalle forze governative e gli abitanti sterminati tramite l’utilizzo di gas nervini, in nome di una vera e propria pulizia etnica. Alla fine degli anni ’80, i curdi scomparsi in Iraq risulteranno oltre 180.000.
LA PRIMA GUERRA DEL GOLFO – La seconda diaspora curda, numericamente ancor più drammatica nella misura in cui coinvolse più di due milioni di persone che si riversarono ai confini di Iran e Turchia, fu una conseguenza della prima guerra del Golfo, il conflitto che oppose l’Iraq ad una coalizione ONU e capeggiata dagli USA con il proposito di restaurare la sovranità del Kuwait (e dei suoi importanti giacimenti petroliferi) invaso indebitamente dall’esercito di Saddam.
Nell’aprile del ’91 è l’ONU a creare le condizioni per quelli che diventeranno i confini della regione autonoma curda: con l’intento di dare soccorso ai profughi, le Nazioni Unite intervengono istituendo tramite la risoluzione 688 una no-fly zone (una interdizione all’aviazione irachena) a nord e a sud del Paese: tracciando la linea di intervento lungo il 36° parallelo, viene difatti ufficiosamente riconosciuta e stabilita la regione di autonomia curda.
LA COSTITUZIONE FEDERALE – Nonostante la guerra condotta da Bush ad inizio anni ’90, il regime iracheno resiste per altri 13 anni fino alla seconda guerra del Golfo ed alla seconda invasione americana, questa volta condotta da un altro Bush, il figlio. Il 15 ottobre 2005 dunque, a seguito dell’intervento militare e della caduta, cattura e uccisione di Saddam Hussein, la Nuova Costituzione irachena viene approvata tramite un referendum: grazie ad essa, l’Iraq viene diviso in più regioni secondo un assetto federale in salvaguardia degli interessi di sunniti, sciiti e curdi. Il Kurdistan iracheno diviene dunque ufficialmente una regione autonoma ed il curdo è dichiarato lingua ufficiale accanto all’arabo. I curdi iracheni, a conti fatti, sono gli unici che, nonostante guerre civili e persecuzioni, hanno potuto legittimamente sviluppare cultura, letteratura e lingua, quest’ultima considerata come l’elemento identitario più importante per l’affiliazione ad una etnia.
OGGI – Il Kurdistan è tornato prepotentemente alla ribalta internazionale a causa dell’ISIS e della sua avanzata in Iraq: difatti, è solo grazie ai Peshmerga curdi e della loro strenua ed organizzata resistenza che le milizie dell’autoproclamatosi Stato Islamico hanno subito ingenti perdite e battuto, alla fine, in ritirata. Analogo discorso nella vicina Siria, dove le forze democratiche siriane Fsd e le Unità di protezione del popolo curdo Ypg (e del suo braccio femminile, l’Ypj) sono riuscite recentemente a liberare città importanti Raqqua.
In Iraq, la riconquista di postazioni importanti – perse dall’esercito governativo dal 2014 in poi – ha consentito al governo di Barzani di aumentare il proprio prestigio internazionale e di aumentare la propria capacità negoziale con il governo centrale: di contro, la situazione interna resta di grave disagio a causa delle accuse di nepotismo, corruzione e malgoverno unite al crollo dei prezzi del greggio, unica vera fonte di sussistenza dei curdi. Autorevoli analisti hanno difatti interpretato le istanze indipendentiste e la proclamazione del referendum sull’indipendenza come l’estremo tentativo del governo regionale di rafforzare la propria posizione non solo verso l’esterno ma soprattutto nei confronti degli oppositori politici interni, capeggiati dai partiti del Gorran e del Puk (Unione patriottica del Kurdistan).
Com’era prevedibile, le reazioni del mondo medio-orientale sono state dure nei confronti del piccolo Kurdistan iracheno: per un Israele che si è dichiarato inaspettatamente favorevole all’autodeterminazione della minoranza curda (dimenticandosi della minoranza palestinese in casa propria pur di minare l’equilibrio dei suoi nemici medio-orientali), le altre potenze regionali e mondiali hanno espresso con forza la loro contrarietà all’azione di Barzani che, circondato politicamente e militarmente, ha rassegnato le proprie dimissioni da capo del Governo alla fine del mese di ottobre: “Rifiuto di continuare nella posizione di presidente – scrive Barzani – e consiglio il parlamento di risolvere la questione dei doveri e dei poteri del presidente in modo che non ci sia un vuoto di potere. Nessuno è stato accanto a noi se non le nostre montagne”.
Difatti, sin da subito dopo il voto, il Governo regionale curdo è stato abbandonato anche dal suo tradizionale alleato americano per il timore che nuovi focolai potessero accendersi in una regione già instabile: come dichiarato dal segretario di Stato, “Gli USA non riconosceranno mai il risultato del referendum unilaterale per l’indipendenza del Kurdistan. Il voto e i risultati non sono legittimi e noi continuiamo a sostenere un Iraq unito, federale e democratico”.
Nel mentre, alle minacce di Baghdad di un intervento militare sono seguite azioni concrete che hanno portato l’esercito governativo alla riconquista senza colpo ferire dei più importanti avamposti (Kirkuk, in primo luogo) che i curdi avevano conteso e difeso dall’avanzata dei miliziani di Da’esh.
Ad oggi, con l’accettazione della sentenza dell’Alta Corte Suprema che ha giudicato illegale il referendum e, soprattutto, con l’accerchiamento internazionale messo in atto in primo luogo da quei Paesi che ospitano minoranze curde e che vogliono spegnerne le aspirazioni indipendentiste, l’idea di una separazione è praticamente tramontata ed i sogni di indipendenza riposti nel cassetto in attesa, magari, di un movimento curdo trasversalmente attivo e non limitato all’esperienza irachena.