LA SENTENZA – È di pochi giorni fa la notizia che la Cassazione ha confermato, in via definitiva, le condanne all’ergastolo per i neofascisti Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte – il primo capo indiscusso di Ordine nuovo/Ordine nero, il secondo un estremista della destra eversiva informatore dei Servizi – accusati per la strage di piazza della Loggia avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974, durante una pacifica manifestazione operaia. Le vittime totali furono otto, due delle quali in seguito alle ferite. Il verdetto conferma la sentenza emessa in Corte d’assise d’appello di Milano il 22 luglio 2014 e chiude dopo 43 anni una lunga storia fatta di depistaggi nelle indagini e di dubbie assoluzioni, come ha ricordato il Procuratore Generale della Suprema Corte.
IL CONTESTO STORICO DEI PRIMI ANNI ’70 – Oltre la storia giudiziaria, c’è quella politica. L’uso delle bombe fu introdotto nella vita politica italiana il 12 dicembre del 1969 a Milano. Il fine politico era chiarissimo: intimidire e impaurire i democratici, estraniandoli dalla politica attiva e permettere a bande fasciste di prendere il controllo delle piazze, come purtroppo avvenne per un certo periodo a Reggio Calabria, con la complicità e le peggiori tentazioni autoritarie di settori dei Servizi segreti deviati. Le stragi e una politica ultra populista condotta dal Msi – Destra Nazionale si sarebbero scoperte, agli occhi delle forze antifasciste, due facce della stessa medaglia. Seguirono scontri durissimi, ma l’Italia democratica e progressista respinse puntualmente tutti i tentativi di fare passi indietro. Proprio in quegli anni furono approvate dal Parlamento leggi importantissime di civiltà come lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, la disciplina del divorzio, la “legge per la casa” ed altre ancora. Ciò fu possibile grazie alla spinta dei lavoratori, organizzati nel sindacato unito – fatto mai più ripetutosi in Italia – che aumentarono a dismisura il loro peso politico. Gli assassini decisero pertanto di mirare al cuore dello schieramento politico-sociale che aveva reso vane tutte le loro azione eversive. Per la prima volta le bombe colpirono direttamente i lavoratori.
I FATTI – Brescia 28 maggio 1974, nel corso di una manifestazione contro l’eversione indetta dal Sindacato e dal Comitato antifascista, alle ore 10,02 in Piazza Della Loggia scoppiò una bomba causando 8 morti e 102 feriti. Alle ore 10,20 circa un comunicato radio speciale lo annunciò agli italiani. (Nel link su youtube, l’audio originale dell’attentato).
IL RACCONTO – Nel 1974 ero componente del consiglio di fabbrica dello stabilimento Olivetti, oltre che rappresentante istituzionale al consiglio comunale di Pozzuoli. Quel giorno mi trovavo sul mio posto di lavoro, quando appresi la notizia per telefono da Gaetano Cesarini, un operaio del settore “controlli”, reparto dove l’ambiente abbastanza silenzioso permetteva l’ascolto delle radioline. Arrivai subito sul posto mentre la radio ripeteva incessantemente: «A Brescia nel corso di una manifestazione sindacale è stata fatta scoppiare una bomba, ci sono morti e feriti». Gli operai mi guardavano attoniti, lo sgomento visibile sul volto del delegato di reparto (ndr. rappresentante di base dei lavoratori) presente mi distolse dalla profonda emozione che in quel momento attanagliava la mia mente. Gli chiesi di fare subito il giro dell’officina e di avvisare tutti i delegati di recarsi nella sede del consiglio di fabbrica. Furono convocati anche i delegati del montaggio e di ogni reparto. Scrissi una prima bozza di un comunicato alle maestranze, che fu approvato dai delegati, quasi tutti velocemente arrivati. Fu battuto a macchina e distribuito nei reparti e negli uffici dello stabilimento, ma intanto i numeri dei morti e dei feriti erano aumentati, e dovemmo correggerli a mano, dopo che i volantini erano già stati affissi in tutti i luoghi di lavoro…
ACCADDE A POZZUOLI – L’analisi del Consiglio di Fabbrica fu unanime. La bomba di Brescia faceva certamente parte della “strategia della tensione”, che aveva lo scopo di affermare in Italia un regime fascista e bloccare le conquiste economiche, sociali e politiche dei lavoratori. Quella bomba aveva colpito tutti. La risposta doveva essere immediata, dovevamo scendere in piazza subito. La sala del Consiglio di fabbrica era piena all’inverosimile, gruppi di operai avevano lasciato il posto di lavoro spontaneamente già pronti allo sciopero. Chiamammo il Consiglio di fabbrica della Sofer, che aveva preso la stessa decisione, ci saremmo congiunti in piazza della Repubblica a Pozzuoli. Loro si incaricarono di chiamare gli operai della Pirelli, noi concordammo con l’ICOM di aspettarci al quadrivio dell’Annunziata e proseguire insieme. Usciti dalla Olivetti occupammo la via Domiziana, un solo striscione era tenuto a mano per non disperdere la testa del corteo, iniziammo a camminare in silenzio con passo spedito. All’altezza del Villaggio del Fanciullo un furgone ed un camion pieni di carabinieri provenienti in senso opposto ebbero il buon senso di accostare sulla destra e fermarsi, permettendoci di proseguire in un’atmosfera divenuta surreale. All’uscita di via Cosenza, all’imbocco della piazza della Repubblica il corteo si fermò, dando modo a due operai di ripiegare, come da intesa, velocemente lo striscione. Di solito avveniva il contrario, poiché i cortei, entrando in piazza, dispiegavano trionfalmente le loro bandiere. La strana manovra fu notata da diversi operai della Sofer già in piazza, che si avvicinarono a noi. Fu l’onorevole Domenico Conte (ndr. più volte Sindaco di Pozzuoli) a notare che i lavoratori provenienti da via Cosenza guardavano tutti nella direzione opposta allo spazio dove si sarebbe tenuto il comizio improvvisato. Si parò anche di fronte a loro, sollecitandoli a prendere la corretta direzione, ma senza successo. Si udì solo il calpestio della corsa di centinaia di operai diretti verso la sede del Movimento Sociale che dopo pochi minuti, alle ore 13 circa, era già completamente devastata. Fu l’unico modo, per fortuna senza altre vittime, per chiarire subito che nessuno avrebbe intimorito la classe operaia e che nessuno avrebbe potuto giovare politicamente del clima di terrore che si tentava di instaurare. Fino a sera la notizia fu appresa ed emulata in diverse città. Il sindacato proclamò lo sciopero generale nazionale di quattro ore per il giorno seguente. In quasi tutte le città d’Italia la strage di Brescia costò molto cara ai fascisti.
La Corte di Cassazione ha confermato nei giorni scorsi la condanna all’ergastolo per alcuni fascisti ritenuti responsabili della strage. A tutti coloro che per 43 anni l’hanno chiesta e resa possibile con la loro indomabile tenacia va il nostro affetto; ai giudici che l’hanno promulgata stima e apprezzamento. Tuttavia, nel commemorare i morti, vorrei ricordare che alla classe operaia di Pozzuoli, all’avanguardia nella difesa della democrazia e della costituzione antifascista, bastarono solo tre ore per dare loro giustizia.
NOTA DELLA REDAZIONE – Per la cronaca, i fatti di Pozzuoli sfociarono in un avviso di reato per undici lavoratori, dopo quasi un anno di indagini che, risultate inattendibili, portarono ad archiviare il caso.