Dopo le ordinanze dei Sindaci, le rettifiche e le polemiche che ne sono scaturite, ricapitoliamo: le acque dei Campi Flegrei per questa estate 2016 risultano in gran parte balneabili. Almeno così sono state dichiarate dall’Arpac, l’Ente regionale preposto a prelevare i campioni, analizzarli e trasmettere i dati ai Comuni, che vietano la balneazione nei tratti considerati “scarsi” secondo la classificazione ufficiale.
Ebbene, ad oggi gli unici tratti ufficialmente non balneabili sono quelli di Licola (3 su 4: in prossimità di Via Licola Mare, di via della Colmata e a 140 mt dalla foce di Licola). A queste aree interdette perché inquinate, si aggiungono quelle portuali, alle foci di fiumi e canali e quelle marino-protette (porto di Pozzuoli, porto di Baia, porticciolo di Miseno, porticciolo di Acquamorta, parco archeologico sommerso di Baia, foce del canale del lago Fusaro, foce del depuratore di Cuma). Vengono poi definite “aree di nuova classificazione” quelle dalle pendici del Rione Terra a Via Napoli.
(Nella foto in basso, l’ingrandimento sull’area flegrea, nel link, la mappa interattiva).
A questo punto è d’obbligo un chiarimento e anche qualche considerazione.
I PUNTI DEBOLI DELLA NORMATIVA – Prima di esprimersi sulla autenticità delle analisi o lanciare accuse (in assenza di prove) sulla condotta sospetta dell’Arpac, va chiarito – o meglio, da parte della nostra redazione, va ricordato – che il vero punto critico è a monte e sta nei criteri stabiliti dalla legge per dichiarare la balneabilità delle acque. Secondo la normativa nazionale attualmente in vigore, cosi’ come modificata nel 2010, viene considerata quale indicatore di non balneabilità la concentrazione in 100 ml di due batteri, l’Escherichia coli (che causa la colite) e gli Enterococchi intestinali (una delle cause della diverticolite del colon). Solo questo, nulla più, per cui se nelle nostre acque fossero presenti altri batteri o altre sostanze inquinanti, ciò non viene ritenuto rilevante per le analisi. Una situazione paradossale, come denunciato negli ultimi anni da associazioni ambientaliste e da ricercatori. Ancora più grave se relazionata alle nostre acque, perché attenua l’attenzione sulla possibile presenza di metalli, detersivi, oli e altre sostanze tossiche.
Sempre secondo legge, un tratto di costa deve risultare balneabile per quattro anni consecutivi, in modo da essere dichiarato tale l’anno successivo. Ma Il vero limite di queste norme sta nelle modalità di analisi, perché non sono stabiliti protocolli di analisi scientificamente validi che definiscano il numero, la posizione e anche gli orari in cui vanno fatti i prelievi; perché anche il gioco delle correnti sposta le sostanze a riva o a largo, per cui il mare può sembrare più pulito in un orario e sporco in un altro.
IL CASO LUCRINO – Ecco come può essere spiegato, almeno sul piano tecnico, quanto accaduto nei giorni scorsi a Pozzuoli con riferimento al tratto di Lucrino. In questo caso l’Arpac ha prima comunicato con una nota del 18 maggio, secondo alcuni in conseguenza di un momentaneo problema alle pompe di sollevamento, che “i risultati delle analisi effettuate su campioni di acqua marina prelevati il 17 maggio hanno dato esito sfavorevole”, per poi ripetere le analisi dopo 10 giorni, che hanno dato in questo caso esito favorevole. In pratica i valori per l’Escheriha Coli passare da 10 a 344 (massimo consentito 200) per poi tornare a 10 con il prelievo supplementare (obbligatorio in caso di dato sfavorevole con il controllo di routine) una settimana dopo, stesso dicasi per gli enterococchi passati da 10 a 1184 (valore massimo consentito 500) poi tornato a 10 (leggi la tabella). Ed è da queste note ufficiali protocollate al Comune che sono scaturite, come atto dovuto, le due ordinanze (datate rispettivamente 20 e 27 maggio) del Sindaco Figliolia, il quale ha prima vietato la balneazione nel tratto incriminato e successivamente ha revocato il provvedimento.
CONSIDERAZIONI – Ora, se da un lato la dichiarazione di balneabilità può solo far piacere a chi vuole il bene di questo territorio e della sua economia (almeno così dovrebbe), è altrettanto evidente alla percezione diretta di qualsiasi cittadino con occhi liberi da pregiudizi che le condizioni dei nostri mari non sono delle migliori e soprattutto che sono ancora ben lontane dalla definizione di “eccellenza” secondo la sensibilità comune, che è ben diversa dalla burocratica scala di valori dell’Arpac.
DOMANDE – Quali sono le cause che ostacolano il pieno sviluppo e la valorizzazione delle nostre coste? Come intervenire, a livello istituzionale, dalla Regione ai singoli Comuni, ognuno per le sue competenze? Alcune criticità, come quella del depuratore di Cuma, hanno fatto registrare negli ultimi anni qualche miglioramento, ma la situazione resta precaria per le caratteristiche obsolete dell’impianto: ci sono ulteriori margini per una soluzione strutturale? A che punto sono i progetti di riqualificazione degli impianti e dei sistemi fognari? Come potenziare la rete di controlli sugli scarichi abusivi che si immettono in alcuni canali, considerata da molti la causa principale di inquinamento dei nostri mari?
Queste sono le domande che andrebbero poste nel dibattito. Tutto il resto rischia di diventare scontro tra tifoserie. E l’attenzione dell’opinione pubblica verso il tema, inevitabilmente più alta a ridosso della stagione estiva, non può essere condizionata da collocazioni politiche, attuali o future, circostanza che in questo caso appare ancora più ridicola e fuori luogo perché investe aspetti delicatissimi come la tutela dell’ambiente, la salute dei cittadini e lo sviluppo a lunga scadenza del territorio.