Il panorama musicale napoletano non ha confini: molti sono gli artisti che si stanno facendo strada, ma ce ne sono altrettanti che, seppur bravi e compositivamente validi, non sono ancora molto conosciuti, neppure a livello locale. Uno di questi è sicuramente Sebastiano Esposito, chitarrista di stampo jazz che di recente ha dato alla luce il suo primo lavoro,”24 – Live in studio” , album autoprodotto, totalmente strumentale, che sta guadagnando una certa popolarità in rete.
La prima domanda, che anche i nostri lettori sicuramente si staranno ponendo, riguarda la tua storia: come e quando ti sei avvicinato alla musica?
“Tutto ha avuto inizio dieci anni fa, quando ho cominciato a suonare la mia prima chitarra, a cui mancavano due corde, per questo mi sono dovuto arrangiare e questo ha sviluppato l’orecchio musicale. Mi sono avvicinato alla musica, quindi, studiando inizialmente attraverso materiale reperito su internet, successivamente ho cominciato a prendere lezioni private, fino a decidere di iscrivermi e frequentare il conservatorio. Attualmente sto conciliando la carriera artistica allo studio dello strumento.”
Il tuo progetto è costituito da pezzi esclusivamente strumentali, prevalentemente chitarra, basso e batteria. Questa è un’idea che hai sempre avuto, sin da subito, o l’hai maturata col tempo?
“Innanzitutto, voglio approfittare della domanda per menzionare i musicisti che hanno collaborato per la realizzazione dell’album e che sono parte integrante del mio progetto, vale a dire Giovanni Macchiaverna al basso ed Elio Severino alla batteria. Per rispondere alla tua domanda, l’idea di fare un progetto esclusivamente strumentale l’ho avuta da sempre, perché secondo me la musica è un po’ più vera delle parole, nel senso che con le parole si possono dire tante cose, si può anche mentire, cantando una canzone d’amore senza avere mai amato, mentre con uno strumento è tutto più complicato, in quanto se tu non provi, o non hai mai provato, un determinato sentimento, attraverso una chitarra, per esempio, tu non riuscirai mai a trasmetterlo a chi ti ascolta suonare.”
In alcuni pezzi del tuo album, “24”, si sente decisa l’influenza che il metal, in particolare quello progressive, ha avuto nella tua formazione musicale, mentre in altri, registrati con la chitarra acustica, si apprezzano di più le influenze della musica tradizionale napoletana. E’ qualcosa che tu hai volontariamente deciso di trasmettere all’ascoltatore o è ti è venuto spontaneo e naturale?
“Sì è vero, da adolescente ho ascoltato molto metal, salvo poi abbandonarlo con la maturazione musicale per dedicarmi più alla fusion ed al jazz. Però questo del genere è un problema che non mi sono mai posto, in quanto, soprattutto nella musica strumentale, è difficile dare un’impronta stilistica ad un brano. O meglio, io penso che il linguaggio musicale sia simile a quello parlato: così come, quando parliamo, cerchiamo di usare dei termini specifici, in modo da non dover illustrare nel dettaglio ogni singolo concetto, così, con la musica strumentale, io non faccio altro che raccogliere tanti generi ed ottenerne un prodotto, che diventa difficile da classificare. Per questo motivo, la scelta di un “genere” piuttosto di un altro non è voluto, ho dato semplicemente libero sfogo alla mia creatività.”
Ad ogni modo, la tua scelta di fare un album totalmente strumentale è molto coraggiosa, in quanto rischia di essere un lavoro tutt’altro che popolare, no?
“Assolutamente sì, ma la cosa non mi preoccupa, perché tutto dipende da cosa un artista pretende dal suo lavoro. Nel mio caso, ho realizzato questo album innanzitutto per passione, perché la musica strumentale mi ha sempre affascinato. L’idea del disco, quindi, nasce per questo: da anni lavoro nel mondo della musica, come produttore e arrangiatore, ma ho sempre desiderato di incidere un album come questo, che esprimesse il mio concetto di musica. Per questo motivo, non ho grosse pretese di successo, però credo che il mio lavoro sia in grado di comunicare le emozioni che io voglio esprimere, e quindi desidero che le persone recepiscano questo messaggio.”
Una cosa che si nota, ascoltando l’intero lavoro, è che in “Memories” hai avuto modo di “omaggiare” diversi artisti, “citando” alcuni brani noti. Come nasce l’idea di comporre un pezzo che, in qualche modo, fa viaggiare l’ascoltatore, da un riff all’altro?
“ “Memories” rappresenta la fase della mia vita in cui mi sono avvicinato per la prima volta al jazz e ha, quindi, una struttura jazzistica, cioè che ha un riff di base che dura circa un minuto e poi cambia ogni volta che viene ripetuto. Le citazioni fanno parte di una tecnica improvvisativa tipica del jazz, che parte da melodie di altre canzoni, per poi spaziare con l’improvvisazione. Quindi, ogni volta che viene proposta, “Memories” è sempre diversa, rimane uguale solo per il tema principale, che è quello iniziale.”
Quali sono, dunque i tuoi progetti per il futuro? Hai intenzione, dopo questo album, di tornare a far l’arrangiatore, oppure deciderai di proseguire con questo progetto strumentale?
“Ferma restando la distinzione, che ho fatto anche prima, tra la mia musica e quella che suono per gli altri, continuerò a collaborare con altri artisti e prendere parte ad altri lavori, senza però tralasciare la mia passione, la mia volontà di portare avanti il mio progetto, dedicandogli, spero, sempre più tempo.”
di Fabio Cuoco