In pochi anni è diventato uno degli emblemi del panorama musicale partenopeo contemporaneo, un passagio da carneade a vip che nemmeno lui, un ragazzo semplice, si aspettava davvero. E’ questa l’impressione che Tommaso Primo ci ha fatto durante l’intervista che ci ha gentilmente concesso, e, col susseguirsi delle domande, questa sensazione è diventata una certezza. Tutto ciò, però, non toglie nulla al grande successo che il giovane Tommaso ha raggiunto con le sue canzoni, frutto di un meraviglioso miscuglio di generi musicali, tale da non permettere, neppure all’orecchio più allenato, di etichettarlo con precisione. E tutto sommato, è meglio così.
Molti cercano di catalogarti, di darti un genere musicale. In realtà però ci piacerebbe che tu dessi una definizione di ciò che vuoi esprimere con la tua musica?
“Nella mia vita difficilmente riesco a soffermarmi su di una singola cosa, mi piace molto cambiare: cambiare stile, sonorità, linguaggi, ma allo stesso tempo cercando di mantenere un’identità, quell’identità che io sono riuscito a trovare, con fatica, nella musica. La fatica, appunto, dovuta alla mia indole, che però sono riuscito a trasformare in una peculiarità, quella di poter parlare di cose diverse senza uscire fuori tema. Tutta questa voglia di continui cambiamenti fa sì che, quando provano a darmi un’etichetta, io provo a fare di tutto per abbatterla”.
Tutto ciò appare evidente anche nei tuoi due album, nei quali sei rimasto fedele a te stesso, malgrado le evidenti differenze, hai comunque lasciato quell’imprinting che ti rende inconfondibile.
“Sì questa è l’identità di cui ti parlavo prima, però è anche vero che i due album sono molto diversi negli arrangiamenti: Posillipo interno 3 è molto intimista e molto minimal, mentre Fate, sirene e samurai è molto più pomposo, c’è l’orchestra, ci sono, ad esempio, i fiati e le percussioni. Quindi cercherò sempre di mantenere la mia identità, ma, allo stesso tempo, di cambiare e sperimentare”.
A proposito di “Posillipo interno 3”, ho notato che, a differenza di molti artisti della tua stessa corrente musicale, come ad esempio i Foja, a te piace dare i nomi ai luoghi che descrivi, diventando una sorta di “cicerone” per chi ti ascolta.
“Sì, è vero: ogni luogo è una canzone, ogni vicolo di Napoli è “ ‘na tarantella”. Questo perché ogni zona della città, per me, ha rappresentato una storia per me: una ragazza che ho avuto, una “paliata” che ho ricevuto, è il mio modo di scrivere i pezzi. Una volta lessi su “Il Mattino” una definizione: “Toponomastica sentimentale” e forse è quella giusta, a me piace tracciare mappe della mia città”.
Uno dei protagonisti delle tue canzoni, forse la più conosciuta, Viola, si trova in un luogo ben preciso di Napoli, perché è la “perla janca dei tribunali”.
“C’è una mia amica di Ravenna che è venuta a visitare Napoli e ha preso un bed & breakfast ai Tribunali perché è innamorata di “Viola”. E in realtà non escludo che abbia avuto modo di incontrare anche lei una ragazza così: purtroppo è una figura che si trova in una società malata ed è vittima di questi tempi e probabilmente non lo sa. A me capita, tornando a casa, di vedere questi ragazzi che si confondono con la massa, spesso molto più simili a delle scimmie che a degli esseri umani, e quando li vedo, penso che nella nostra società c’è una perdita di certi valori, e Viola è proprio vittima di questa società che la vede come un oggetto, anche perché molte donne si sentono oggetti e molti uomini se ne approfittano. E questo tipo di mondo mi è nemico, lo dico apertamente.
Un’altra figura femminile di cui parli, invece, è Lena, la cui storia, a differenza di quella di Viola, ha un lieto fine.
In realtà, la storia di Viola non ha un finale triste, ma sospeso: c’è sempre questo ragazzo che la aspetta, durante la sua permanenza in carcere. Lena, invece, ha una storia molto importante e di cui vado molto fiero, anche se la canzone non è molto conosciuta: lei è una prostituta che ha un ragazzo che la corteggia, il quale è molto determinato, che vuole aiutarla fregandosene dei pregiudizi.”
In “fate, sirene e samurai” hai collaborato con molti artisti, tra cui Dario Sansone. Come è nato questo featuring con il cantante dei Foja?
Io e Dario siamo amici da tanto tempo, lui è più grande di me di circa dieci anni e, quando io ero ancora adolescente, lui ha notato questa mia passione di scrivere canzoni e mi ha sempre dato una mano. E’ una delle persone a cui devo dire veramente grazie, perché mi ha aiutato senza essere mai invidioso, come spesso succedere in quest’ambito. E’ stato un amico fraterno, gli voglio molto bene perché è una persona speciale.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro, hai in serbo un nuovo album?
Il nuovo album sarà una sorpresa, non posso anticipare niente, ma sarà “spaziale”.
Non ci puoi dire neppure quando uscirà?
No, non ancora, perché probabilmente ci sarà un altro partner nella produzione. Ti posso dire che a breve partirà una piccola sit-com sul web, ma non posso anticipare altro.
di Fabio Cuoco