“Il concessionario decade dal diritto di occupare lo spazio pubblico concessogli (…) qualora non osservi le norme e gli obblighi di natura retributiva, contributiva e di sicurezza in materia di lavoro, qualora risultino addette più di 2 unità lavorative oltre al titolare”. Con questa previsione aggiunta all’art. 10 del regolamento COSAP (canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), il Consiglio comunale ha recentemente approvato la delibera (n. 100/2018) che apre la strada al contrasto del lavoro nero, anche con strumenti amministrativi e in ambito locale. Un concetto semplice, un principio elementare di legalità, un segnale di equità sociale: chi utilizza lavoratori non regolarizzati, con grave danno per questi ultimi sul piano economico e contributivo, può subire la revoca nelle concessioni di utilizzo del suolo pubblico. Il passo successivo al voto in Consiglio comunale dovrebbe essere un protocollo di intesa con l’Ispettorato del Lavoro, che sarà parte integrante della delibera e del regolamento. Il provvedimento, che raccoglie a sua volta analoghe misure previste a Cagliari, è stato rivendicato dal movimento di lotta dei “lavoratori fantasma” promosso dall’Ex OPG, protagonisti di proteste contro alcune realtà “simbolo” del rinascimento turistico napoletano, contro cui sono state annunciate vertenze e azioni legali, ed è stato recepito dalla maggioranza che sostiene l’amministrazione De Magistris.
FENOMENO DILAGANTE – La percezione del fenomeno è diffusa e i numeri ufficiali riferiti al 2017 – relativi a tutta la provincia di Napoli – sono impressionanti. Secondo l’Ispettorato del lavoro di Napoli su un campione di 4.417 ispezionate, il 51% dei lavoratori è risultato irregolare: è acclarato, quindi, che un lavoratore su due non è messo in regola dall’azienda. Le punte più alte si riscontrano nell’edilizia (71%), ma anche il settore dei pubblici esercizi, maggiormente interessato dalla recente azione dell’amministrazione napoletana, non scherza, con alti tassi di evasione contrattuale e contributiva.
SI PUO’ FARE – E’ molto difficile vincere i pregiudizi che ruotano intorno al fenomeno del lavoro nero. Opinione sbagliata, e fin troppo diffusa, è che a Napoli e dintorni quella del lavoro irregolare sia una scelta inevitabile, con l’alibi perenne delle tasse e della crisi economica. Ammesso che il problema venga accettato e riconosciuto, fortissima è l’opposizione a qualsiasi provvedimento di contrasto e di emersione, anche di semplice indirizzo e di prospettiva nell’interesse comune. La ragione? Perchè ci sono in ballo soldi, ovvero i maggiori guadagni di una classe imprenditoriale che – fatte salve le dovute eccezioni – non è all’altezza di essere definita tale. A questa si aggiunge l’ignoranza, intesa nel senso letterale di scarsa conoscenza delle leggi e delle misure di incentivi, che a lunga scadenza rendono il lavoro regolare conveniente anche per le imprese, e più in generale per la comunità. Lavoratori in regola significa “diritti e doveri” per tutti, retribuzioni giuste, possibilità di intraprendere percorsi di vita più stabili. Insomma, un’economia più solida, che “gira” a beneficio di tutti. L’esatto contrario di ciò a cui si assiste sui nostri territori.
A Pozzuoli chi scrive è stato testimone e protagonista di quanto sia difficile condurre una discussione serena e non ideologica sul tema. Nell’ambito dell’“Osservatorio sul lavoro non regolare”, che pure ha operato nonostante l’ostruzionismo e l’assenza dei rappresentanti del commercio, si valutò negli anni scorsi la necessità di tenere insieme prevenzione e contrasto, informazione e sensibilizzazione. Ma il tabù legato al tema “lavoro nero”, aggravato da polemiche pretestuose e di paese, non permise nemmeno di parlare delle “misure premiali”, pur studiate, proposte nero su bianco e tuttora agli atti del Comune di Pozzuoli, in favore di quelle aziende con i lavoratori in regola. Figuriamoci misure di contrasto come quelle deliberate ora a Napoli. Le polemiche sono passate (le elezioni pure) e il problema dello sviluppo “a metà” è ancora lì. Ma come diceva un vecchio programma televisivo RAI, che tanto ha fatto per il contrasto all’analfabetismo, “non è mai troppo tardi”. Chissà se a capirlo saranno prima gli amministratori di questa città, i titolari di azienda o i giovani che lavorano anche con turni di 10 ore al giorno per poco più di 30 euro, che spesso non hanno nemmeno la possibilità di accedere all’assegno di disoccupazione Naspi dopo aver perso il lavoro.