Giovedì scorso, 27 aprile si è tenuto presso l’ITCG V. Pareto di Pozzuoli il convegno “Non muri ma ponti: esperienze dall’Italia che accoglie”, in occasione dell presentazione di un nuovo libro “Miserie e Nobiltà: viaggio nei progetti di accoglienza”, edito da ReCoSol (Rete Comuni Solidali).
La ReCoSol è un’associazione nazionale che raccoglie Comuni di tutta Italia aderenti ai principi di cooperazione, solidarietà e accoglienza. Il libro è una raccolta costituita da ventisei testimonianze di operatori dell’accoglienza, assessori, consiglieri e sindaci di piccoli e grandi centri urbani dell’Italia che accoglie e che aderisce alla rete ReCoSol. Ventisei testimonianze all’insegna di sforzi e fatiche, ma anche di preziosi obiettivi raggiunti, di piccole e grandi gioie. Ventisei testimonianze altresì differenziate dai diversi ruoli dei protagonisti, che evidenziano gli aspetti altrettanto numerosi della questione.
L’evento è stato fortemente voluto da ReCosol (Rete Comuni Solidali) Campania, in collaborazione con l’associazione CittàMeridiana e il Centro Italiano Femminile – Cif di Pozzuoli, con il patrocinio del Comune di Pozzuoli e la disponibilità ad ospitare l’iniziativa da parte dell’istituto scolastico. Presenti alla Tavola Rotonda Maria Laura Longo –referente ReCoSol Campania; Angela Giustino – docente dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”; Iaia de Marco – presidentessa dell’ass. culturale CittàMeridiana e la dirigente scolastica, Donatella Mascagna. L’assessora alle politiche sociali, Lydia De Simone, ha portato i suoi saluti. A conclusione della Tavola Rotonda, è stato proiettato il cortometraggio di Alberto Gatto “Mer Rouge”, del 2015, in cui viene rappresentato l’incontro tra il giovane Sherif, rifugiato senegalese, e Nick, attore americano di origini italiane; da tale incontro si sviluppa una riflessione dialogica sulla casa intesa come luogo stabile in cui poter tornare.
IL DIBATTITO – Maria Laura Longo ha evidenziato nel suo intervento la necessità del coinvolgimento di giovani ed adolescenti in dibattiti sociali e politici al fine di sviluppare in loro un senso critico e la capacità di “confrontarsi con la vita”. Il tema dell’accoglienza migranti è in tal senso incredibilmente attuale ed offre spunti di riflessione e di analisi essenziali per la formazione di una coscienza civica che non si limiti alla situazione contingente ma che sia strumento di comprensione generale del sistema in cui viviamo. A tal proposito, l’intervento di Iaia De Marco ha sottolineato tutta la tendenziosità della retorica che rappresenta il migrante come un fardello, facendo invece notare come questo sia innanzitutto una risorsa e come possa entrare a far parte in maniera dignitosa del “meccanismo produttivo e attivo del luogo in cui sono ospitati, rendendoli non più estranei ma parte della comunità”. La professoressa Angela Giustino ha fatto luce sulla dimensione dell’approccio empatico: “Isolare significa condannare le persone alla diffidenza, all’integralismo, a gesti disperati. Oggi non possiamo più pensare la cittadinanza come l’essere singoli individui al mondo, ma è necessario affrontare il fenomeno, reale e urgente, delle migrazioni, mettendoci nei panni degli immigrati, o meglio: entrare nella condizione di migrante, come una persona che è costantemente in cammino”.
QUALE ACCOGLIENZA? – Entrare nella condizione di migrante vuol dire esercitare un’empatia sociale perché promotrice di una nuova forma di accoglienza: un’accoglienza che sia sinonimo di integrazione e di mediazione culturale, di sostegno psicologico, di benessere socioeconomico; un’accoglienza che rappresenti, di fatto, un percorso teso all’indipendenza e all’autodeterminazione. È necessario un miglioramento radicale nelle modalità di accoglienza; tale cambiamento, tuttavia, non può prescindere da una conoscenza che spesso, come sottolineato da Maria Laura Longo, manca: “Queste persone sono trattate come invisibili, ai margini della società, dello sguardo, della comunità, spinti nelle periferie: non li conosciamo, per questo abbiamo paura e sospetto. Il lavoro che sta alla base dei veri progetti di accoglienza sta nel rendere visibile l’invisibile”. Fino a che le modalità ed il concetto stesso di accoglienza non saranno radicalmente rivisitati, fino a che non si lavorerà affinché l’invisibile venga reso visibile, il fenomeno della migrazione persisterà nell’essere percepito in quanto capro espiatorio, in quanto problema da eliminare o quantomeno da arginare, in quanto fattore su cui speculare e i problemi esistenti relativi alla gestione della situazione, anziché essere risolti, saranno strumentalizzati.