Sono tremila l’anno, secondo gli allarmanti dati della Croce Rossa Italiana, gli atti di violenza commessi, in Italia, da pazienti e parenti ai danni del personale sanitario, durante l’esercizio delle loro funzioni. Nei pronto soccorso si verificano l’80% delle aggressioni. Seguono i reparti di psichiatria, i Sert e gli ambulatori. Il 72% dei casi riguarda il Sud e ben il 71% delle aggressioni è contro il personale femminile (dati raccolti da sondaggio “Anaao”). Gli episodi di violenza si manifestano, prevalentemente, durante i turni serali e notturni, ovvero quando la gravissima carenza di personale è ancora più ridotta di quanto già non sia. L’INAIL, nel 2018, ha registrato “solo” 1.200 denunce: “molti medici ed infermieri non denunciano, per pudore, per vergogna, per timore di torsioni, perché ci si è abituati alla violenza, o per poter finire il turno e non lasciare i pazienti senza assistenza” è l’amara dichiarazione di Filippo Anelli, Presidente della FNOMECO (Federazione nazionale dei medici chirurghi e degli odontoiatri).
In Campania, secondo l’associazione Nessuno tocchi Ippocrate, si contano dall’inizio dell’anno 87 atti di violenza: pugni, schiaffi, calci, strattonamenti, minacce, sputi ma anche veri e propri linciaggi contro gli operatori del 118 ed atti vandalici nei pronto soccorso e nei reparti, registrati un po’ in tutti i nosocomi campani: dal Cardarelli al Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, dal Presidio Ospedaliero del Moscati di Avellino all’Ospedale di Marcianise, dal San Giuliano di Giugliano all’Ospedale di Boscotrecase, fino al Santobono-Pausillipon, l’ospedale dei bambini.
A scatenare gli atti di violenza sono le lunghe attese ed i ritardi nei soccorsi, ma anche una errata comunicazione tra personale ospedaliero ed utenti che lamentano un senso di abbandono e percepiscono una preoccupante disorganizzazione nelle attività di soccorso. Medici ed infermieri sono diventati il “capro espiatorio” di un sistema sanitario considerato inefficiente, perché incapace a rispondere ad una utenza sempre più esasperata per i continui disservizi, innescati anche da politiche sanitarie errate, che stanno logorando il prezioso rapporto di fiducia medico-paziente.
II camici bianchi, già sovraccarichi di lavoro per carenze di organico e turni massacranti, operano in uno stato di continua emergenza e in un clima ostile e violento che non garantiscono la serenità necessaria a prestare le cure adeguate cui il paziente ha diritto. Tale condizione di disagio psicofisico ha spinto, dopo anni di studi, lo scorso maggio, L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) a riconoscere, ufficialmente, il “bournout” (stress da lavoro) come una vera e propria sindrome, che colpisce soprattutto gli operatori sanitari italiani, i più stressati d’ Europa.
LE INIZIATIVE E LE CAMPAGNE DI COMUNICAZIONE – Innumerevoli le iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica contro il fenomeno delle aggressioni al personale sanitario: il 13 settembre si celebra, in Italia, la “giornata contro la violenza sugli operatori sanitari in memoria di Paola Labriola” la psichiatra che fu uccisa a Bari, sei anni fa, con settanta coltellate da un suo paziente. Nel 2017 gli ordini dei medici di Napoli e di Bari danno il via alla campagna “chi aggredisce un medico aggredisce se stesso”; e pochi giorni fa, l’Omceo di Bari ne ripropone una nuova “e poi la vita chi te la salva?”. “Non sono un bersaglio” è lo slogan scelto dalla Croce Rossa Italiana; l’Associazione “Nessuno tocchi Ippocrate”, dalla sua pagina facebook, lancia l’hashtag #aiutaciadaiutarti; il Sindacato dei medici CIMO Cardarelli sui social sceglie: #dallatuaparte e “STOP alle aggressioni agli operatori sanitari, se ci aggredisci non possiamo salvarti”. Recentissima è la petizione “proteggi chi ti cura”, promossa sulla piattaforma change.org, dal Presidente della Commissione Trasparenza Valeria Ciarambino e diretta al Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
L’IMPEGNO DEI SINDACATI – Da anni i sindacati di categoria portano all’attenzione delle istituzioni il fenomeno delle aggressioni al personale sanitario chiedendo ai direttori generali delle aziende (che devono garantire l’incolumità di tutti i dipendenti) di intervenire, sia attraverso alcuni efficaci deterrenti, come i presidi fissi di polizia negli ospedali e l’installazione di videocamere di sorveglianza, sia attraverso l’applicazione della Raccomandazione numero 8 del Ministero della Salute: “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari” avente come obiettivo: “prevenire atti di violenza contro gli operatori sanitari attraverso la implementazione di misure che consentano l’eliminazione o la riduzione delle condizioni di rischio e l’acquisizione di competenze da parte degli operatori nel valutare e gestire tali eventi quando accadono” e che non tutte le aziende sanitarie campane applicano.
LE RISPOSTE DELLE ISTITUZIONI – Le audizioni in Commissione Sanità dell’Anaao, gli scioperi, le denunce, le campagne mediatiche, cominciano a dare i primi risultati: il 25 settembre scorso, il Senato approva all’ unanimità il DDL antiviolenza che contiene misure di prevenzione e contrasto al fenomeno delle aggressioni al personale sanitario. Il Decreto prevede dai 4 ai 16 anni di carcere a chi aggredisce gli operatori sanitari, nell’esercizio delle loro funzioni; l’istituzione, presso il Ministero della Salute, di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, con il compito di monitorare gli episodi di violenza; e aggiunge la circostanza dell’aggravante con l’integrazione dell’art. 61 del codice penale: “avere commesso il fatto con violenza o minaccia in danno degli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”. Il testo, voluto dall’ ex Ministro della Salute Giulia Grillo, passa ora alla Camera dei deputati. “Gli episodi di violenza e le aggressioni a chi lavora nel mondo della sanità sono inaccettabili. Oggi al Senato è arrivata una prima importante risposta con voto all’unanimità. È la strada giusta su cui continuare a lavorare”. Commenta su Twitter il ministro della Salute Roberto Speranza.
La violenza non si giustifica, si condanna.
A cura di Vania Cuomo