Beni archeologici, fruibilità e valorizzazione. Se ne parla ormai ogni giorno, e ne parlano tutti. Noi pensiamo sia il momento di concentrare ogni sforzo ed ogni proposta per realizzare l’obbiettivo dei piani di gestione. Non basta più lamentarsi e denunciare: la vera sfida è creare lavoro e reddito diffuso.
IL CASO POZZUOLI – Il Protocollo d’Intesa, firmato lo scorso 4 aprile dal Comune di Pozzuoli con la Soprintedenza per i Beni Archeologici e la Regione Campania, ha rappresentato sicuramente uno spartiacque nella discussione sul tema. Si tratta infatti di uno strumento innovativo che prova a risolvere il primo e più immediato ostacolo ad ogni ipotesi di turismo culturale, quello legato all’effettiva accessibilità dei siti, mediante l’utilizzo di dipendenti comunali in esubero, impiegati per la manutenzione ordinaria e la custodia. A distanza di mesi tale Protocollo, che potrebbe diventare esempio da seguire su tutto il territorio nazionale, ha trovato purtroppo applicazione solo in parte. Alcune unità del Comune di Pozzuoli sono state effettivamente dislocate presso l’Anfiteatro Flavio, sopperendo così alle esigue risorse umane ministeriali. Per altri siti archeologici individuati nell’accordo di aprile, il Protocollo, che ha durata annuale, resta ancora lettera morta. L’articolo 4 prevede infatti espressamente l’impegno del Comune “ad assicurare l’apertura, su richiesta e previa prenotazione, attivabile presso l’info point comunale, del Macellum e dello Stadio di Antonino Pio”, precisando che “la prenotazione dovrà essere garantita dal Comune anche per gruppi (di un numero minimo di dieci persone) dotati di guida propria”. Al momento non esiste alcun info point comunale per la prenotazione delle visite.
Da qualche settimana, invece, è partito presso Palazzo Toledo quello dell’associazione Albergatori Campi Flegrei, autorizzato con apposita delibera di Giunta, in collaborazione con gli studenti dell’Istituto Petronio. Fatto, quest’ultimo, assolutamente lodevole che va nella direzione del coinvolgimento degli attori locali nella creazione di un sistema integrato, ma che limita per ora le sue funzioni all’accoglienza e alla promozione del territorio. Al momento, quindi, non è ancora possibile prenotare alcuna visita in questi due siti, né per i cittadini appassionati di storia ed archeologia, né tanto meno per eventuali quanto auspicabili turisti e visitatori. È evidente quindi che resta un problema di effettiva operatività delle istituzioni coinvolte nel Protocollo (Comune e Soprintendenza), che dovrebbero avere invece tutto l’interesse a dar seguito ai loro propositi, messi nero su bianco e più volte annunciati alla stampa.
La questione è anche politica. La sfida del turismo culturale è qualcosa di più complesso della sola rincorsa alle foto di turisti rimasti fuori dai cancelli dell’Anfiteatro, e quindi dal conseguente “danno d‘immagine” della nostra città. Occorre una visione d’insieme che insista nel coinvolgere tutte le risorse umane, dagli operatori turistici alle giovani guide, fino alle attività dedite alla ristorazione e all’erogazione di servizi potenzialmente interessate a “fare rete”. Quel Protocollo dunque è uno strumento utile allo sviluppo del territorio solo se applicato interamente e concepito come base di partenza di un piano di gestione più ampio. La politica dei piccoli passi va riconosciuta, ma sarebbe bene conoscere in modo pubblico quali progettualità complessive gli amministratori locali intendono mettere in campo, affinché tutte le forze propulsive della città possano discuterle e migliorarle in modo costruttivo e nell’interesse generale.