Cinquanta volte 2 marzo. Era il 1970 quando il quartiere puteolano denominato “N’copp a terra” venne sgomberato per ordine del Ministero degli Interni e della Protezione Civile. Motivo ufficiale: la crisi bradisismica che – secondo le conoscenze scientifiche dell’epoca – fece temere per la sicurezza dei circa 3.000 abitanti. Una ricostruzione storica più complessiva non può fare a meno di evidenziare che la vita su quel Rione, che per molti secoli è stato l’anima e l’ultima rocca della città di Pozzuoli, non era più accettabile in quelle condizioni igienico-sanitarie. Qualcuno, forse, pensò di accelerare tempi e modi di “riconversione forzata”, ma senza nemmeno riuscirci. In 50 anni Il Rione Terra è stato teatro di abbandono, sciacallaggio, chiusura, poi di lavori pubblici, progetti e parziali riaperture. Molte parole, qualche operazione di ricordo e, soprattutto, copiosi fondi pubblici. Tanti, calcolabili oggi in circa 220 milioni di euro spesi o da spendere a breve. E secondo le stime del Consorzio che conduce i lavori dai primi anni 90, ne occorre ancora qualche decina per completare gli ultimi lotti, quelli che affacciano sulla darsena.
Scrivere a 50 anni di distanza esatti dall’evento che forse ha più di tutti segnato la frattura identitaria della comunità puteolana nel ‘900, può sembrare un atto dovuto, un rituale stanco. E invece no. C’è il dovere di evidenziare l’ovvio. Sforzandosi di guardare al futuro. Quel pezzo di città non può restare lì, fermo, come un buco nero che attrae finanziamenti e genera poco o niente in termini di rilancio, lavoro, opportunità. Il rischio più grande è che i cittadini, puteolani e flegrei, abbiano fatto l’abitudine al cantiere permanente. Non solo i “giovani”, ma intere generazioni di professionisti, padri di famiglia, gente originaria di altri Comuni che ha scelto di vivere nei Campi Flegrei. Oggi la maggioranza dei cittadini non ha mai visto il Rione Terra “vivo” e considera quasi normale che quel patrimonio immobiliare pubblico, di proprietà inalienabile del Comune di Pozzuoli, resti congelato fino a data da destinarsi. In anni recenti, dal 2014 al 2016, la luce in fondo al tunnel è sembrata più vicina. In pochi anni ha riaperto il Tempio/Duomo, per funzioni religiose, una parte del percorso archeologico, per visitatori e turisti, e ha trovato un utilizzo più sistematico Palazzo Migliaresi, sede di incontri ed eventi civili. Tutto, però, è ancora limitato ai soli fine settimana e persiste la presenza di quel maledetto cancello che non viene rimosso o fatto arretrare. Sono mancati, almeno finora, i passi più importanti: una data certa e credibile per la fine dei lavori e la pubblicazione di un bando di gara per la gestione futura che si attende dal 28 febbraio 2017, termine a tal fine indicato in delibera di giunta comunale n. 27 del 6 aprile 2016, almeno per quanto riguarda la parte restaurata.
La prospettiva inseguita per molti anni è stata quella turistico-ricettiva e culturale, secondo quanto deciso dal Consiglio Comunale di Pozzuoli fin dal 2002; linee guida che possono ovviamente essere aggiornate o precisate, anche alla luce dello studio elaborato dall’Agenzia del Demanio, costato 100 mila euro e presentato nel giugno 2018, purché da parte delle Istituzioni comunali si discuta e decida. E che la cittadinanza attiva partecipi al dibattito, o contribuisca a stimolarlo, come anche la nostra associazione ha provato a fare il 9 ottobre del 2018, con osservazioni protocollate al Sindaco e ai consiglieri comunali.
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C’è molto per cui vale la pena di continuare a proporre e a non tacere. Dalla effettiva messa a redditto delle strutture ricettive e dalla piena valorizzazione del Tempio/Duomo e del percorso archeologico sotterraneo possono nascere posti di lavoro regolari e qualificati, in un territorio che ha tanta fame di reddito, quanto di speranze. Dal corretto e condiviso utilizzo degli spazi pubblici per cui sono previste funzioni diverse da quella alberghiera (Palazzo Migliaresi, Palazzo Di Fraia, Auditorium, Case della Cultura, immobili adiacenti Piazzetta 2 Marzo) può derivare un valore aggiunto alla città in termini di vivacità e di nuova identità culturale, anche in relazione al complesso Toledo – Villa Avellino, tuttora incompiuto. Ma ogni anno che passa da quel 2 marzo, è un anno perso. Ogni candelina che si aggiunge, è un punto di demerito per chi deve agire e non lo fa. O lo fa troppo lentamente, secondo tempi della politica che non corrispondono a quelli della società di oggi.
Diciamo ancora una volta basta, a una situazione di stallo che fa male e che mortifica tutti.