Davide Bias è uno scrittore fallito che lavora nel campo pubblicitario. Nonostante il suo sogno sia quello di scrivere un libro e vederlo pubblicato, la sua vita trascorre tra inquietudini, ansie e frustrazioni; una sorta di depressione che riesce a tenere emarginata solo con pillole ed ansiolitici. La routine del giovane si romperà alla morte del padre, uno sceneggiatore di poco successo. Trasferitosi a Roma, Davide incontrerà Ludovica, l’editrice a cui il padre si era rivolto per pubblicare la sua autobiografia. Sarà Davide, però, a scrivere il manoscritto, convinto che, così facendo, potrà riconciliarsi con l’odiata figura paterna.
Autore eccellente e sempre sopraffine, Pupi Avati torna nelle sale con un thriller sofisticato e feroce, smantellando o, almeno, raccontando al pubblico i drammi e le frustrazioni che si celano dietro alla fama ed al successo.
Un film, dunque, quello di Avati, eccellente ma colpevole di una nota negativa: non riesce mai a toccare la vetta. La pellicola, sebbene sorretta dalle eccellenti interpretazioni, non riesce a creare l’introspezione giusta capace di descrivere personaggi che scavino realmente dentro se stessi. Il protagonista, alienato e disincantato, vive in un contesto freddo ed apatico ma che non trasmette per nulla allo spettatore. D’altronde, però, non è sempre stata questa la massima abilità di Avati? Basta ricordare Le finestre non chiudono gli occhi per averne la conferma.
Cast ottimo. Tralasciando l’interpretazione di Sharon Stone, qui, al suo primo film di produzione italiana, la Capotondi e Scamarcio donano alla pellicola l’enfasi e la tonalità giusta. Fotografia stupenda, tecnica di regia innovativa ed al passo con i ritmi del film. Ottima anche la musica, curata dal giovane ma talentuoso Raphael Gualazzi.
Candidato a vari Ciak d’oro e Nastri d’argento, il lungometraggio viene insignito anche di una nomination al prestigioso Montreal World Film Festival.