L’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati ha autorizzato all’unanimità la desecretazione dei verbali delle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone (cugino di Sandokan) che pronunciò di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti il 7 ottobre del 1997. Vengono resi pubblici così, sia il resoconto dell’audizione del pentito, sia gli atti da lui depositati in quell’occasione. E’ un fatto di grande importanza e dal valore politico e lo stesso Presidente della Camera Laura Boldrini ha sottolineato che “si tratta della prima volta che la Presidenza della Camera, senza che venga richiesto dalla Magistratura, decide di rendere pubblico un documento formato dalla commissione di inchiesta classificato in passato come segreto”.
Il documento integrale può essere letto e scaricato qui.
Le dichiarazioni di Schiavone, fermi restando i necessari accertamenti e le valutazioni che ci auguriamo siano stati fatti nel corso degli anni dalla Magistratura, descrivono in particolare come funzionava il “business” rifiuti tossici. Affare che secondo Carmine Schiavone sarebbe cominciato già qualche anno prima del 1990 per iniziativa di suo cugino Sandokan e di Bidognetti, con camion di fanghi nucleari che provenivano dalla Germania. Ma che solo dopo quella data sarebbe diventato ufficialmente affare del clan dei casalesi, assicurando alle casse comuni dell’organizzazione malavitosa un flusso di 600/700 milioni di lire al mese, senza contare ovviamente le cifre ben più cospicue dei guadagni che finivano direttamente nelle tasche private degli esponenti criminali. Rapporti con “signori di Arezzo, Firenze, Milano e Genova, coordinati da tale avvocato Chianese“, consentivano l’arrivo di rifiuti tossici di ogni tipo, in particolare di fusti di residui di pitture e di scarti radioattivi, “che provenivano anche da Massa Carrara e da La Spezia”. Ogni cava di sabbia che veniva scavata per i lavori appaltati per tratti di autostrada o per opere pubbliche (come gli interventi sui Regi Lagni) sarebbe stata automaticamente riutilizzata e riempita per interrare rifiuti. Talvolta anche a 25/30 metri di profondità, a contatto con la falda acquifera, come nel caso di “alcuni punti di Parete e Casapesenna“.
Schiavone, durante l’audizione alla Camera del 1997, sembra molto propenso a spiegare anche i rapporti con il sistema politico, affermando che il “clan controllava tutti i 106 sindaci del casertano, di qualsiasi colore politico, spesso le amministrazioni le facevamo noi”. Diventa un po’ più vago e afferma di non ricordare precisamente quando gli vengono chiesti i nomi delle ditte coinvolte. Il territorio di influenza dei casalesi viene individuato, oltre al casertano, dal beneventano al basso Lazio. Vengono espressamente citati i Comuni di Casal di Principe, Casapesenna e Castel Volturno, inquinati a tal punto da fargli pronunciare che “lì le popolazioni avranno forse venti anni di vita”.
Alla specifica domanda rivolta dal presidente della commissione di inchiesta On. Massimo Scalia “Conosce tutti i posti in cui sono avvenuti interramenti di questo genere?” Schiavone risponde “no, non li ricordo tutti, io mi interessavo di Casale, Villa Literno, Aversa, Teverola“, ma riferisce di “10mila ettari che costeggiavano tutta la domitiana, scavati a 30,40,50 metri“. E ancora “pure a Villaricca abbiamo fatto scaricare 520 fusti tossici, durante lo scarico un autista divenne cieco”. E poi, riferendosi alla Di.Fra.Bi (che ha getito per anni la discarica di Pianura) dice che tale società “aveva terreni abusivi dove scaricare sulla Domitiana, vicino a Varcaturo“ e che “hanno buttato anche dentro al Lago Lucrino“.
Oltre a restare agghiacciati nel leggere questi verbali, è d’obbligo qualche considerazione. Le parole di Schiavone sono rese pubbliche solo oggi, ma confermano purtroppo quanto già trapelato nel corso degli anni. Ricostruzioni che peraltro si riferiscono solo al periodo a cavallo tra il 1990 (nel 92 verrà arrestato). Non sappiamo con precisione se e quali indagini e accertamenti giudiziali sono scaturite da tali dichiarazioni né come si è “evoluto” il fenomeno criminale fino ai nostri giorni. Oggi non basta solo conoscere, ma intervenire. E per individuare con precisione le aree da bonificare, più che pendere dai ricordi di un criminale, seppure diventato collaboratore di giustizia, le Istituzioni locali devono ora adoperarsi e pretendere a livello nazionale il monitoraggio e le analisi dei terreni, anche con l’ausilio di strumenti tecnici e scientifici (si pensi al programma SITA – Sistema Informativo Tutela Ambientale, che rilevando una colorazione geotermica insolita, può scoprire i rifiuti tossici interrati).
Il fatto è compiuto, è impossibile fingere di non sapere, c’è solo da scegliere se morire in silenzio o reagire.