Tragedia Solfatara, novità dal fronte giudiziario. All’udienza fissata per lunedì 20 maggio presso il Tribunale di Napoli saranno illustrate le conclusioni della perizia realizzata dal collegio di tecnici nominato dal Presidente aggiunto dell’ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale partenopeo, dottoressa Isabella Iaselli, nell’ambito del procedimento penale per la tragica morte di Massimiliano Carrer, della moglie Tiziana Zaramella e del figlio Lorenzo.
Come è tristemente noto, il 12 settembre 2017 la famiglia Carrer, nel visitare il sito naturalistico, fu vittima di un terribile incidente: il piccolo Lorenzo precipitò in una voragine del terreno che si aprì sotto i suoi piedi e che inghiottì, stordendoli con i gas del sottosuolo, anche il papà e la mamma, precipitatisi uno dopo l’altro nel vano tentativo di salvare il ragazzo.
L’inchiesta, affidata ai Pubblici Ministeri dottoresse Anna Frasca e Giuliana Giuliano, coordinate dal Procuratore aggiunto, dottor Giuseppe Lucantonio, ha evidenziato fin da subito gravi lacune sul piano della sicurezza per i visitatori e per il personale impiegato nell’area, che da allora è sotto sequestro. Violazioni che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati, per il reato di disastro colposo, di Giorgio Angarano, amministratore della Vulcano Solfatara srl, di altri cinque soci della società che gestisce l’area (Maria Angarano, Maria Di Salvo, un’altra omonima Maria Di Salvo, Annarita Letizia e Francesco Di Salvo) e della società stessa.
A confermare e ad aggravare il quadro delle responsabilità sarebbe ora anche l’approfondimento tecnico richiesto dagli stessi Sostituti Procuratori e accordato dal Gip. La perizia, ovviamente, non ha ancora un valore di accertamento dei fatti, e sarà oggetto di “esame” da parte di tutti i consulenti tecnici di parte, tra cui quelli nominati dai Pubblici Ministeri e ovviamente da parte dei legali delle parti offese e degli imputati. Sul punto, è arrivata in giornata la dichiarazione del sindaco di Pozzuoli Vincenzo Figliolia: “Abbiamo appreso a mezzo stampa le conclusioni della superperizia. Si è dato mandato al nostro avvocato e presteremo la massima attenzione affinché sia fatta chiarezza sulla vicenda”.
Alcuni stralci del documento, composto di ben 240 pagine, sono state appunto diffuse alla stampa prima dell’udienza e ci sono passaggi dai toni durissimi “Presso l’area della Solfatara – recita testuale la perizia – non erano presenti presidi di sicurezza, né in astratto, né in concreto, a tutela della salute e della vita dei lavoratori e di conseguenza degli stessi visitatori. La società Vulcano Solfatara srl non ha valutato i rischi e non ha posto in essere alcun rimedio idoneo per prevenirli, neanche secondo la peggiore scienza ed esperienza”.
E ancora: “Previo esame dei rischi che non sono stati valutati – continuano i periti -, andavano previsti presidi di sicurezza, con squadra di soccorso ed emergenza a tutela degli stessi lavoratori, che doveva per lo meno essere attrezzata di respiratori portatili (bombola di ossigeno con relativa maschera) e D. P. C. (Dispositivi di Protezione Collettiva, ndr) tipo funi, atteso che i visitatori andavano equipaggiati precauzionalmente con mascherine monouso per fronteggiare i problemi dovuti alla presenza dell’H25 (anidride solforosa, ndr)”.
Con riferimento a quanto accaduto quel 12 settembre 2017 si legge che “la palese e grave negligenza che emerge a carico della società è quella di non avere valutato l’elevata probabilità e l’elevato rischio di morte, comunque valutabile, dovuti ad una possibile cavità posta sotto il piano campagna, di dimensione maggiore rispetto a quella che poteva percepirsi visivamente dal soprastante piano”. E di non aver quindi “posto in opera una delimitazione che fosse maggiormente estesa e distante dalla originaria dimensione della voragine, tenuto conto dell’acqua che aveva allagato la zona della fangaia e che era defluita nei giorni precedenti nel sottosuolo anche attraverso la predetta voragine, dando luogo alle condizioni di pericolo che si sono avute in occasione del tragico evento”.
Infine, emerge il paradosso totale per cui quell’area privata veniva fruita dal pubblico senza la concessione di particolari autorizzazioni pubbliche. “Il sito era sprovvisto dell’autorizzazione sindacale sin dal lontano 2008”, autorizzazione che comunque “non riguardava l‘accesso alla spianata, atteso che in tutti i casi la società Vulcano Solfatara doveva garantire la sicurezza di lavoratori e visitatori a prescindere dal controllo da parte degli organi di vigilanza e della esistenza o meno di autorizzazioni”. (…) “Emerge chiaro e inequivocabile che l’area della cosiddetta “spianata” (fangaia, stufe, fumarole, belvedere, etc.) era visitabile e fruibile, da parte dei visitatori, senza che fosse rilasciata alcuna autorizzazione che, in qualche modo, avrebbe potuto dare luogo a controlli preliminari, quali Nulla Osta da parte di Enti in genere”.
Chi doveva esercitare i controlli? Secondo i periti l’Asl, i Vigili del Fuoco o l’ispettorato del Lavoro non avrebbero potuto rilevare il rischio di sprofondamento che ha dato luogo alla tragedia, “in ragione della particolarità del sito che richiede conoscenza di tutt’altra materia specifica, consulenze, studi, e monitoraggi (geologia, geofisica, etc) che solo il datore di lavoro avrebbe potuto e dovuto richiedere ai fini della valutazione dei rischio”. “Scagionato” nella perizia sarebbe anche l’Osservatorio Vesuviano, che non avrebbe avuto poteri di controllo o di vigilanza in materia di salute e sicurezza dell’area della società.
Nelle conclusioni della perizia vengono elencate le numerose opere di messa in sicurezza, linee giuda e prescrizioni da realizzare per arrivare – secondo il pool di esperti – alla riapertura del sito invocata dagli operatori economici della città: realizzazione di un secondo accesso carrabile in corrispondenza del parcheggio, realizzazione di un’adeguata rete antincendio, individuazione di percorsi sicuri, realizzazione di passarelle con parapetti, tutta una serie di indagini, verifiche e monitoraggi, divieti vari (come quello di avvicinarsi alle fumarole o alle antiche stufe), accesso al sito vulcanico vero e proprio solo indossando gli appositi dispositivi di protezione individuale e per non oltre i 60 minuti.
Il procedimento è dunque ancora in corso. L’accertamento delle responsabilità penali, con le eventuali e conseguenti condanne, è un atto di giustizia nei confronti della memoria delle vittime, del bambino superstite della famiglia Carrer e dei parenti.
Più complessa, e assolutamente distinta, è la questione dell’eventuale dissequestro dell’area da parte della Magistratura, della riapertura futura del sito, e di chi e come lo gestirà, per non precludere al territorio flegreo uno dei principali attrattori turistico-culturali. Aspetti, questi ultimi, che necessiterebbero di una presa di iniziativa autorevole, in sinergia tra Enti istituzionali preposti e proprietari privati dell’area.
N.B. Il pool di esperti nominato dai Giudici è così composto: Giovanni Battista Crosta, Direttore della Sezione di Scienze Geologiche e Geotecniche del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente, del Territorio e della Terra dell’Università di Milano Bicocca; prof. Orlando Vaselli, docente in Geochimica e Vulcanologia, Direttore di Scienze della Terra all’Università di Firenze; prof. Giuseppe Tito Aronica, docente in Ingegneria Idraulica all’Università di Messina; prof. Claudio Giulio Di Prisco, docente in Geotecnica al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano; prof. Angelo Baggiani, docente in Igiene generale e applicata al Dipartimento di Ricerca Transnazionale NTMC, all’Università di Pisa; il geofisico Giuseppe Marino, esperto di Idrogeologia; l’ingegner Maurizio D’Amico, con specifica competenza in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.