Il 3 Ottobre 2014 sarà la data che segnerà il ventennale dell’istituzione della Doc della falanghina e del piedirosso Campi Flegrei. L’intento di questo articolo a puntate è quello di analizzare un settore, come quello del vino, che oggi è forse l’unico ambasciatore, in Italia e nel mondo, del nostro territorio.
Se da un lato infatti le ricorrenze servono a rimarcare la strada percorsa, è pur vero che è tempo di tracciare la rotta per i prossimi anni. L’idea è quella di incontrare, non tanto i produttori, ma professionalità del mondo del vino per rilanciare una discussione sui prossimi passi da fare.
Ricomincio allora da dove avevo lasciato, incontrando Angelo di Costanzo, puteolano eletto miglior sommelier 2014 per la guida l’Espresso. Vorrei tempestarlo di domande di tipo economico e sociologico, chiedergli perché i nostri vini non reggono il confronto con quelli più “importanti”, perché esistono più di 20 cantine nei Campi Flegrei ed è così difficile vederle fare rete (che non sia quella dell’affiancamento a manifestazioni enogastronomiche). Perché non sembrano agire in maniera consortile, perché ognuna di esse è alla ricerca del proprio mercato fuori dai Campi Flegrei (si vende poco nei nostri comuni nonostante la presenza di tante attività ristorative) senza una strategia comune. Infine vorrei chiedergli perché, se da sempre ci raccontiamo delle potenzialità dei nostri prodotti, un giovane dovrebbe investire le proprie forze, la propria vita nel coltivare viti e produrre vino.
Angelo mi ferma subito e con calma serafica mi invita a pensare che 20 anni, nella storia di un vino, sono davvero pochi e che una direzione è stata lanciata. Il primo passo indispensabile ora dovrebbe essere quello di ritornare al prodotto. Uno dei nodi principali da risolvere potrebbe essere quello della mancanza di una vera e propria mappatura dei vigneti esistenti, delle loro peculiarità climatiche, delle caratteristiche dei terreni. In poche parole sappiamo poco delle principali variabili che caratterizzano i nostri vini. Il punto è che in realtà condividiamo poco queste informazioni, in quanto le aziende conoscono il carattere che ogni appezzamento di terra con diversa altezza o distanza dal mare, o con diversa esposizione al sole, darà al proprio vino. Manca però quella condivisione di conoscenze che permetterebbe di avanzare verso la produzione di vini migliori. Considerando la dislocazione delle terre coltivate, ognuna diversa e lontana dalle altre, sapere come coltivare in ogni luogo del territorio sarebbe un enorme passo in avanti.
Eppure non mancano gli esempi di cantine che cominciano a selezionare terreni e uve per produrre vini diversi e di maggiore qualità. E’ chiaro che però lo sforzo di una singola cantina è enorme se pensiamo che per produrre vino c’è bisogno di sperimentazione, e sacrificare parte del raccolto e della potenziale vendita non è uno scherzo per la dimensione mediopiccola delle nostre cantine.
Per un momento pensiamo ai tanti soldi spesi per realizzare tante cattedrali nel deserto (Pit Campi Flegrei) senza interessarsi a questo argomento che in realtà, rileggendo vecchi articoli o lo stesso blog di Di Costanzo (larcante.com) tiriamo in ballo da tantissimo tempo.
Passiamo allora a parlare del nuovo disciplinare della Doc (consultabile sul sito della Regione Campania) che sembra dare un impulso chiaro alla produzione del vino con etichetta “Campi Flegrei” piuttosto che a quella dei nomi dei vitigni. Del resto Piedirosso e Falanghina non sono esclusiva del nostro territorio e vengono coltivati anche in altre zone con risultati qualitativamente diversi. Pensare di giocare la carta del forte legame col territorio renderebbe il prodotto unico e identificabile. Pensiamo al successo del Taurasi (che è in realtà Aglianico) o del Barolo (100 per cento Nebbiolo): nomi di Comuni, di territori identificati ormai in un vino. Come scrive anche Angelo siamo ad un bivio e la scelta questa volta potrebbe essere decisiva. Gli chiedo allora perchè sembra che le cose siano sempre difficili da fare qui. Mi risponde: “Siamo degli incompresi”.
Seduti da due ore in un bar, unici clienti, stiamo chiaramente parlando, io prendo appunti, eppure a nessuno dei gestori viene in mente di abbassare il volume assordante. È chiaro allora che questo territorio ha bisogno di nuove sfide: i festeggiamenti che seguiranno quest’anno saranno importanti, ma più importante sarà riuscire a lanciare uno sguardo verso il futuro per i Campi Flegrei che vogliamo.