Voucher. Sembra una parola che indica una nuova moda dall’estero, e invece è una questione tutta nostrana e riguarda il mondo del lavoro. Ultimamente se ne sente spesso parlare in TV o si leggono articoli e post sui social, soprattutto perché tra pochi mesi sarebbe previsto un referendum, voluto dal sindacato CGIL, per decidere se abolirli o meno. Ma esattamente … cosa sono?
In sintesi, si tratta di buoni lavoro erogati dall’INPS e usati come metodo di pagamento per lavori occasionali e per prestazioni di lavoro accessorie, cioè non regolamentate con un contratto. Il taglio più piccolo è di 10 euro lordi l’ora, che corrispondono a 7,5 euro netti, il resto va all’INAIL e all’INPS che forniscono copertura assicurativa e contributiva, sebbene quest’ultima sia più debole poiché i contributi sono versati alla gestione separata.
I voucher sono stati introdotti per la prima volta nel 2003, con il proposito di legalizzare la remunerazione di mini-lavori prima pagati a nero. L’utilizzo di questo metodo di pagamento è aumentato nel tempo, grazie a una serie di riforme che si sono susseguite negli anni. Tra le tappe fondamentali nella storia dei voucher ricordiamo le riforme del governo Berlusconi, nel biennio 2009-2010; la riforma Fornero nel 2012, che ha apportato nuovi limiti ma che allo stesso tempo ha aumentato la possibilità di pagare con questi buoni. Infine abbiamo il Jobs Act del governo Renzi, con il quale la cifra netta che un dipendente può guadagnare in un anno è passata da 5000 a 7000 euro e non ci sono più limiti per settori economici.
SVANTAGGI E CRITICITA’ – L’utilizzo dei voucher è aumentato dal 2008 al 2016 in modo sproporzionato. L’incremento più significativo si è verificato durante il governo Renzi, si è infatti passati dai 24 milioni del 2013 ai 121,5 milioni nei primi dieci mesi del 2016. Il motivo di tale diffusione dei buoni lavoro è che con il Jobs Act molti datori hanno visto i voucher come un metodo remunerativo più conveniente rispetto alle forme di contratto.
Purtroppo però non può dirsi raggiunto lo scopo iniziale, poiché i buoni sono stati usati sempre più frequentemente per mascherare il lavoro nero, e non per eliminarlo, alimentando così il fenomeno della precarizzazione dell’occupazione. Ciò è dovuto in parte anche all’aumento del guadagno netto, in quanto 7000 euro annui (2.000 o 3.000 considerato il singolo datore di lavoro) è una cifra davvero alta e per niente conforme alla definizione di “lavoro occasionale”. Inoltre bisogna specificare che la copertura assicurativa prevista dai voucher è minima e non tutela i lavoratori come dovrebbe, poiché non comprende ad esempio i periodi di maternità, malattia o i contributi validi per l’indennità di disoccupazione. Le giornate di lavoro pagate con i voucer, infatti, non sono utili al lavoratore nemmeno ai fini della domanda di NASPI.
L’utilizzo improprio dei voucher potrebbe essere eliminato o ridotto nei prossimi mesi. Non solo per la previsione del referendum, la cui data però non è stata ancora fissata, ma anche per l’iniziativa del governo di proporre modifiche al Parlamento in modo da evitare, anche per ragioni politiche, lo svolgimento della consultazione. Da ieri, sono circolate le prime indiscrezioni e ipotesi di modifica. Allo studio ci sarebbe la limitazione dei voucher ai soli settori del lavoro domestico o agricolo, o alle imprese unipersonali (con zero o 1 solo dipendente), oppure ancora la re-introduzione di limiti di reddito a livelli più rigidi, come nella formulazione originaria prevista oltre 10 anni fa. La questione potrebbe evolvere tra pochi giorni. Sullo sfondo, ancora una volta, ci sono le effettive esigenze e criticità dei lavoratori, finora alquanto ignorate nel dibattito sociale, istituzionale e politico.