FOTO DI MARINA SGAMATO
Allerta meteo per rischio idrogeologico; sciami sismici inaspettati; vulcani che, all’improvviso, divengono pericolosi e minacciosi. E’ davvero un problema inaspettato il rischio vulcanico? Quanti disastri e preoccupazioni si sarebbero evitati se non si fossero costruiti ponti lì dove c’erano fiumi? O case su faglie o bocche di vulcano? Vasta è la provincia di Napoli: novantadue comuni; oltre 3.000.000 di abitanti; densità media abitativa spropositata. Eppure, su di essa, si “affollano” ben tre distretti vulcanici, di pericolosità non trascurabile: Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia.
Rischio idrogeologico, sismico e vulcanico. Tra questi, la caldera attiva dei Campi Flegrei è ritenuta dagli studiosi quella a più alto rischio al mondo. Un’eventuale eruzione avrebbe esplosività elevata. Di questa, non si può prevedere con precisione il tempo che intercorre tra “primi avvertimenti” ed evento in sé. Coinvolgerebbe non solo i quattro Comuni Flegrei, ma una parte della stessa città di Napoli, di fatto costruita nella caldera.
Ne parliamo con Vincenzo De Novellis, borsista presso l’Osservatorio Vesuviano, che svolge studi sulla dinamica delle eruzioni, in particolare del Vesuvio e Campi Flegrei, con modellazione di queste e dei fenomeni associati. Ripercorrendo la storia geologica e vulcanologica della terra flegrea, ci racconta che essi sono tra i pochi siti al mondo in cui potrebbero esserci “eventi esplosivi di straordinaria energia, capaci d’indurre modificazioni climatiche su scala planetaria. Fu così 40.000 anni fa, con l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, possibile causa di riduzione della temperatura di circa 1-2 °C, per 2-3 anni. Le emissioni avrebbero innescato piogge acide. L’alto tasso di fluoro delle ceneri sarebbe entrato nel ciclo vegetale, con effetti su uomo ed animali. La propagazione dei prodotti eruttati avrebbe ridisegnato la geografia dei luoghi e generato l’enorme caldera”. In Campania, questo non è stato l’unico evento di tale portata: 15.000 anni fa si sarebbe avuta un’altra eruzione esplosiva, quella del “Tufo Giallo Napoletano”, i cui prodotti costituiscono il materiale su cui e di cui è costruita Napoli e Provincia. L’area flegrea è nota per il bradisismo, lento movimento di sollevamento (negativo) o d’abbassamento (positivo) del suolo, che, tra ’70 e ’80, accese preoccupazione, allarmi e polemiche. Portò allo sgombero del Rione Terra, la cui riapertura sembra ancora oggi una chimera, e di altri quartieri puteolani. Ci fu la costruzione di Toiano e Monterusciello, in aree comunque interne alla caldera.
Ripercorriamo il territorio flegreo, attraverso i 30 vulcani visibili. Ci soffermiamo sulla Solfatara, l’unico a creare occupazione, essendo meta di turisti e curiosi, fino ad arrivare a Monte Nuovo, ultimo in ordine di tempo, nato nel 1538. Osservando il territorio non si può fare a meno di parlare di “convivenza uomo-vulcani, non trascurando mai la prevenzione perché nonostante la scienza possa evidenziare variazioni nell’attività vulcanica o sismica, l’accentuarsi del bradisismo o variazioni nella chimica delle fumarole”, spiega De Novellis, “gli esiti non sono prevedibili e certi”.
L’unica cosa da fare è, in caso di sisma, mantenere la calma e seguire le norme di sicurezza previste. Per convivere con il rischio vulcanico e sismico è necessaria la creazione di un piano d’emergenza, in cui le amministrazioni locali coadiuvano l’operato della Protezione Civile, indirizzandolo. La messa in sicurezza dell’area è necessaria allo sviluppo territoriale e turistico, affinché non ci siano più ostacoli o scuse. I Vulcani possono essere attrattiva e potenzialità, come in altre parti. Tutto al fine del ritorno economico ed occupazionale. Educazione al territorio, partendo dalle scuole, per formare una coscienza “differente e sostenibile”. Questa la sfida!
A cura di Gemma Russo e Marina Sgamato